Infermieri

Arriva il “super” infermiere: specialista potrà prescrivere anche farmaci


Il super infermiere sarà specializzato e un giorno potrà fare prescrizioni, prima di tutto di dispositivi e ausili sanitari e poi anche di farmaci, se si tratta di ripetere ricette ai cronici. La professione più importante del sistema sanitario dal punto di vista numerico cerca di ridisegnare il proprio futuro, per acquisire maggiore peso professionale, rendere ancora più efficace la collaborazione col medico e più solida la propria autonomia quando si tratta di seguire i pazienti sul territorio, a partire dalla casa. Il cambiamento va incontro alla crisi del sistema sanitario, sia di organici che economica. Intanto è stata già incassata la possibilità di svolgere la libera professione intramoenia, come quella dei camici bianchi, per 8 ore alla settimane. Lo prevede un emendamento entrato nel decreto Milleproroghe, ormai a un passo dall’approvazione.

Il documento

L’ordine degli infermieri, Fnopi, ha fatto scrivere un documento ad alcuni esperti sanitari e ha trasmesso i risultati ai parlamentari delle commissioni che si occupano di lavoro, bilancio, sanità e istruzione alla Camera e al Senato. Si tratta del primo passo di una riforma che cambierà radicalmente la professione. Tra coloro che hanno steso il testo ci sono Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, Carlo Della Rocca, presidente della conferenza permanente delle facoltà e scuole di medicina e chirurgia e preside alla Sapienza di Roma, Tiziana Frittelli, presidente di Federsanità, Silvio Garattini, presidente del “Mario Negri”, Domenico Mantoan, direttore generale di Agenas, l’agenzia sanitaria nazionale delle Regioni, Maria Letizia Melina, segretario generale del ministero dell’Università e della ricerca, Rossana Ugenti, a capo della direzione professioni sanitarie del ministero alla Salute.

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Le specializzazioni

Gli infermieri iscritti all’ordine sono ben 460 mila, dei quali 343 mila lavorano nel servizio pubblico. In futuro, dice il progetto, si dovrà cambiare la formazione. Oggi la facoltà dura un triennio ed esiste un biennio che però dà competenze organizzative e manageriali, non sanitarie. L’idea è di far nascere, come per i medici, alcune specializzazioni, per accrescere le competenze in alcuni settori. I percorsi ad hoc riguarderebbero cure primarie e sanità pubblica, neonatologia e pediatria, salute mentale e dipendenze, emergenza e terapia intensiva, medicina e chirurgia. Per cambiare le cose dovrà aumentare il numero di docenti nelle facoltà di infermieristica. Chi si specializza potrebbe ambire a uno stipendio più alto degli attuali 1.700 euro medi, cioè una cifra più bassa rispetto a molti altri Paesi Ue, dove tra l’altro gli infermieri sono più numerosi in rapporto agli abitanti.

Le prescrizioni

Poi c’è il tema delle prescrizioni, particolarmente delicato perché riguarda un’attività che rappresenta una delle prerogative principali della professione medica. L’idea è quella di rendere possibile per l’infermiere specializzato farle quando si tratta ad esempio di acquistare dispositivi, come possono essere determinati tipi di cateteri, medicazioni particolari o supporti come carrozzine, letti particolari e altro. Sui farmaci, c’è l’ipotesi di poter prolungare le ricette per determinati farmaci per malati cronici, che devono proseguire una terapia già stabilita dal medico. Il tutto è pensato in particolare per chi viene seguito a domicilio dall’infermiere e serve per dare risposte più rapide a chi sta male. Sicuramente il tema creerà dibattito, visto che i medici sono sempre molto determinati quando si tratta di difendere le loro attività professionali. E però nel gruppo che ha scritto il documento ci sono anche molti medici e farmacologi.

Barbara Mangiacavalli, presidente di Fnopi, spiega come la riforma sia necessaria anche per rispondere alle nuove esigenze della sanità. “Il tradizionale modello organizzativo è ormai inefficace per rispondere alla popolazione – dice – Il nuovo paradigma sanitario si fonda sulla costruzione di reti di prossimità territoriale, determinando uno spostamento dell’assistenza dai luoghi tradizionali di cura, come gli ospedali, verso strutture territoriali più sostenibili e accessibili che possano favorire l’integrazione sociosanitaria e la continuità dei percorsi”.

Redazione NurseTimes

Fonte: La Repubblica

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