Infermieri

Area delle professioni sociosanitarie, Fials chiede un confronto al ministro Grillo

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato della segreteria generale Fials.

La piena attivazione dell’area delle professioni e del personale sociosanitario in sanità, necessita di conseguenti atti normativi per dar corso all’innovazione prevista nell’art.5 della legge 3/18, con adempimenti che iniziano il suo iter proprio dal Ministero della Salute.

Così il Segretario Generale della FIALS, Giuseppe Carbone, in una lettera al Ministro della Salute, On. Giulia Grillo e al Coordinatore degli Assessori Regionali alla Sanità, Dr. Antonio Saitta, con la quale richiede un confronto sulla materia.

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Come Le è noto, riporta Carbone nella propria lettera, dopo anni di disattenzione da parte dei Ministeri competenti della delega loro attribuita dall’articolo 3 octies del dlgs 502/92 e smi, con l’articolo 5 della legge 3/18 si è  contestualizzato e rilanciato l’istituzione dell’area delle professioni socio-sanitarie, indicando già i primi quattro profili che la compongono; questo risultato veramente innovativo presuppone successivi adempimenti da compiere per dare concretezza, quanto mai necessari ed attuali anche in questa fase contrattuale nel pubblico impiego e nei settori sanitari e sociosanitari privati e/o accreditati.

L’alta motivazione dell’area delle professioni sociosanitarie è nella constatazione che la finalità del SSN, come definita dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, cioè la tutela della salute come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia” fa sì che debba essere attuata non solo in un sistema sanitario in senso stretto, bensì dando corso ad un’articolata e complessa attività con più professionisti ed operatori per individuare e conseguentemente modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla salute individuale e collettiva promuovendo al contempo quelli favorevoli.

Per dar corso a questa strategia di promozione della salute anche e soprattutto attraverso l’integrazione socio-sanitaria, è quanto mai necessario attuare concretamente quanto il legislatore ha previsto per specifica area delle professioni socio-sanitarie, in quanto si tratta di giusta scelta del legislatore in un settore, quale quello socio-sanitario, ad elevata espansione per l’attuale quadro demografico ed epidemiologico.

La realizzazione di questa specifica area delle professioni socio-sanitarie comporterebbe la riscrittura della desueta articolazione del personale del SSN nei quattro ruoli (sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo) prevista dall’art.1 del DPR n.761 del 1979 non più aderente all’evoluzione scientifica, tecnologica, normativa e formativa intervenuta nel trentennio successivo e che ha prodotto l’attuale sistema nel quale prevale la mission di salute più che di sanità in senso stretto.

Questa “area delle professioni e degli operatori sociosanitari” è una nuova configurazione professionale nell’ambito della quale occorre ricollocare i profili esistenti a rilevanza socio- sanitaria, già menzionati dall’art. 5 della legge 3/18, mentre la sua implementazione  potrebbe dar corso a nuove legittimità ed operatività professionali in un ambito di intervento nel quale iscrivere alcune criticità attuali, relative a particolari profili che, nella suddivisione rigida in ruoli, non sono riusciti a trovare una adeguata collocazione e ai quali, invece, appare necessario rispondere positivamente cogliendo l’esigenza di dare ad operatori e professionisti il riconoscimento formale anche nella contrattazione nazionale.

In questa area andrà individuato, pertanto,  un inquadramento adeguato e coerente per tutti quei profili professionali che non sono riconosciuti appieno all’interno dell’attuale sistema delle professioni sanitarie, ma che nella visione nuova di tutela della salute, ricoprono funzioni utili ed efficaci per il “piano terapeutico” e per l’intera organizzazione del lavoro: si darebbe così vita ad un innovativo scenario caratterizzato da un diverso pluralismo professionale più adeguato e funzionale non solo ad interpretare, ma anche a soddisfare i bisogni di salute e rispondendo così positivamente all’evoluzione della organizzazione del lavoro nella prevista integrazione socio – sanitaria.

Si ricorda come il dlgs 502/92 abbia normato la questione dell’integrazione sociosanitaria: “Integrazione sociosanitaria”

  1. “ Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione.
  2. Le prestazioni sociosanitarie comprendono:
  3. a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite;
  4. b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.
  5. L’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n. 419, da emanarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro della sanità e del Ministro per la solidarietà sociale, individua, sulla base dei princìpi e criteri direttivi di cui al presente articolo, le prestazioni da ricondurre alle tipologie di cui al comma 2, lettere a) e b), precisando i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie locali e ai comuni. Con il medesimo atto sono individuate le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria di cui al comma 4 e alle quali si applica il comma 5, e definiti i livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali a rilievo sanitario.
  6. Le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico degenerative.
  7. Le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria sono assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali.
  8. Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei Comuni che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. La regione determina, sulla base dei criteri posti dall’atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza.
  9. Con decreto interministeriale, di concerto tra il Ministro della sanità, il Ministro per la Solidarietà sociale e il Ministro per la Funzione pubblica, è individuata all’interno della Carta dei servizi una sezione dedicata agli interventi e ai servizi sociosanitari.
  10. Fermo restando quanto previsto dal comma 5 e dall’articolo 3 quinquies, comma 1, lettera c), le regioni disciplinano i criteri e le modalità mediante i quali comuni e aziende sanitarie garantiscono l’integrazione, su base distrettuale, delle prestazioni sociosanitarie di rispettiva competenza, individuando gli strumenti e gli atti per garantire la gestione integrata dei processi assistenziali sociosanitari”.

Si menziona a tal scopo come lo specifico capitolo sull’integrazione sociosanitaria nel vigente Patto per la Salute abbia dato corso a quanto sopra:

“1. Le regioni disciplinano i principi e gli strumenti per l’integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, sociosanitarie e sociali, particolarmente per le aree della Non Autosufficienza, della disabilità, della salute mentale adulta e dell’età evolutiva, dell’assistenza ai minori e delle dipendenze e forniscono indicazioni alle ASL ed agli altri enti del sistema sanitario regionale per l’erogazione congiunta degli interventi, nei limiti delle risorse programmate per il Ssr e per il Sistema dei servizi sociali per le rispettive competenze.

  1. L’accesso alla rete integrata dei servizi sociosanitari avviene tramite un “punto unico” che indirizza il cittadino al percorso sociosanitario e socioassistenziale adeguato alle sue condizioni e necessità.
  2. Per l’individuazione del setting di erogazione delle prestazioni sociosanitarie (domiciliare, territoriale ambulatoriale, semiresidenziale o residenziale) e l’ammissione ad un livello appropriato di intensità assistenziale si fa ricorso alla valutazione multidimensionale effettuata con uno strumento valutativo del quale sia stata verificata la corrispondenza con gli strumenti già concordati dalle Regioni con il Ministero della salute.
  3. La valutazione multidimensionale accerta la presenza delle condizioni cliniche e delle risorse ambientali, familiari e sociali, incluse quelle rese disponibili dal Sistema dei servizi sociali, che possano consentire la permanenza al domicilio della persona non autosufficiente.
  4. Piano delle prestazioni personalizzato, formulato dall’equipe responsabile della presa in carico dell’assistito, individua gli interventi sanitari, sociosanitari e sociali che i servizi sanitari territoriali e i servizi sociali si impegnano a garantire, anche in modo integrato, secondo quanto previsto per le rispettive competenze dal DPCM 29 novembre 2001 e successive modifiche e integrazioni.
  5. Al fine di promuovere una più adeguata distribuzione delle prestazioni assistenziali domiciliari e residenziali rivolte ai malati cronici non autosufficienti, a conferma ed integrazione di quanto già stabilito dal Patto per la salute 2010-2012, si conviene che le Regioni e le Province Autonome, ciascuna in relazione ai propri bisogni territoriali rilevati, adottano ovvero aggiornano i progetti di attuazione dei commi precedenti, dando evidenza:

– del fabbisogno di posti letto, espresso in funzione della popolazione da assistere presso le strutture residenziali e semiresidenziali destinate ai malati cronici non autosufficienti, ai disabili, alle persone con disturbi psichiatrici, ai minori e alle persone con dipendenze, articolato per intensità assistenziale e per durata e con evidenza di proporzione tra assistiti in regime residenziale e in regime domiciliare;

– del fabbisogno,  espresso in funzione della popolazione da assistere, e l’organizzazione delle cure domiciliari sanitarie e socio-sanitarie articolate per intensità, complessità e durata dell’assistenza;

– delle modalità di integrazione nelle UVMD di tutte le professionalità, anche al fine di garantire una gestione integrata delle risorse impiegate nel progetto assistenziale.”

La legge 3/18 all’articolo 5, quindi, attribuisce una finalità ben precisa all’area delle professioni sociosanitarie che è sia quella di contribuire all’attuazione del diritto alla salute sia come indicato dall’art. 32 della nostra Costituzione Repubblicana e dall’Organizzazione Mondiale della Salute non solo assenza di malattia ma “benessere fisico, psichico e sociale” concetto quanto mai ampio se non onnicomprensivo ma anche di essere strumentale all’attuazione :

“Art. 5.della legge 3/18: (Istituzione dell’area delle professioni sociosanitarie)

  1. Al fine di rafforzare la tutela della salute, intesa come stato di benessere fisico, psichico e sociale, in applicazione dell’articolo 6 dell’intesa sancita il 10 luglio 2014, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sul nuovo Patto per la salute per gli anni 2014- 2016, è istituita l’area delle professioni sociosanitarie, secondo quanto previsto dall’articolo 3-octies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
  2. In attuazione delle disposizioni del comma 1, mediante uno o più accordi, sanciti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e recepiti con decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sono individuati nuovi profili professionali sociosanitari. L’individuazione di tali profili, il cui esercizio deve essere riconosciuto in tutto il territorio nazionale, avviene in considerazione dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti nel Patto per la salute e nei Piani sanitari e sociosanitari regionali, che non trovino rispondenza in professioni già riconosciute.
  3. Gli accordi di cui al comma 2 individuano l’ambito di attività dei profili professionali sociosanitari definendone le funzioni caratterizzanti ed evitando parcellizzazioni e sovrapposizioni con le professioni già riconosciute o con le specializzazioni delle stesse.
  4. Con successivo accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono stabiliti i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti ai fini dell’esercizio dei profili professionali di cui ai commi precedenti. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, sentite le competenti Commissioni parlamentari e acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, è definito l’ordinamento didattico della formazione per i profili professionali sociosanitari.
  5. Sono compresi nell’area professionale di cui al presente articolo i preesistenti profili professionali di operatore sociosanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale. Resta fermo che i predetti profili professionali afferiscono agli Ordini di rispettiva appartenenza, ove previsti.

Ne consegue che la suddetta norma prevede che l’istituzione dell’area delle professioni sanitarie sia realizzata secondo quanto previsto dall’articolo 3 octies del dlags 502/92 che essendo sinora stato colpevolmente disatteso prevede:

Art. 3-octies Area delle professioni sociosanitarie

1.Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale e con il Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentito il Consiglio Superiore di Sanità e la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, è disciplinata l’istituzione all’interno del Servizio sanitario nazionale, dell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria e sono individuate le relative discipline della dirigenza sanitaria.

2.Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale, sentito il Ministro per l’Università e la ricerca scientifica e tecnologica e acquisito il parere del Consiglio superiore di Sanità, sono integrate le tabelle dei servizi e delle specializzazioni equipollenti previste per l’accesso alla dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale, in relazione all’istituzione dell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria.

  1. Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale, sono individuati, sulla base di parametri e criteri generali definiti dalla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i profili professionali dell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria.
  2. Le figure professionali di livello non dirigenziale operanti nell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria, da formare con corsi di diploma universitario, sono individuate con regolamento del Ministro della sanità, di concerto con i Ministri dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e per la Solidarietà sociale, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400; i relativi ordinamenti didattici sono definiti dagli atenei, ai sensi ell’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 sulla base di criteri generali determinati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, emanato di concerto con gli altri Ministri interessati, tenendo conto dell’esigenza di una formazione interdisciplinare, adeguata alle competenze delineate nei profili professionali e attuata con la collaborazione di più facoltà universitarie.
  3. Le figure professionali operanti nell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria, da formare in corsi a cura delle regioni, sono individuate con regolamento del Ministro della sanità di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.400; con lo stesso decreto sono definiti i relativi ordinamenti didattici”.

Pertanto la legge 3/18  non modifica l’assetto e la previsione dell’art. 3 octies ma lo contestualizza prevedendo, ad esempio, al posto del decreto ministeriale l’Accordo Stato – Regioni e l’attuale denominazione dei Dicasteri coinvolti ed alcuni aspetti metodologici per individuare i profili.

Ne consegue che allorché verranno individuati altri profili o riformulati quelli già compresi nella norma, gli stessi dovranno comprendere quindi anche figure dirigenziali per quelli formati con percorso universitario; l’area, quindi che comprenderà sia professioni laureate, anche con qualifiche dirigenziale, che profili professionali formati con corsi regionali, il tutto, però, individuati con Accordi Stato Regioni, uniformi a livello nazionale.

Mentre con l’ultimo comma della legge 3/18 si avvia la reale all’istituzione dell’area delle professioni sociosanitarie, stabilendo che già quattro profili la compongono; questa la nuova dimensione giuridica e che non può che prevedere delle conseguenti prospettive le quali necessitano di conseguenti atti normativi per dar corso all’innovazione prevista nel ricordato art.5 della legge 3/18, con adempimenti che iniziano il suo iter proprio dal Ministero della Salute, come si è ricordato dal sopra descritto iter legislativo, adempimenti che visto i precedenti, non imputabili alla Sua attuale gestione, ci attendiamo che siano nel più breve tempo possibile emanati, previo il necessario e dovuto confronto con le rappresentanze professionali e sindacali interessate ed in particolare in questa stagione contrattuale che prevede il lavoro di specifiche Commissioni paritetiche per ogni comparto PUBBLICO di negoziazione presso l’ARAN per la riclassificazione del personale, in cui l’istituzione dell’area sociosanitaria presenta una rilevanza strategica.

La piena attivazione dell’area delle professioni e del personale sociosanitari in sanità, con la relativa direttiva del Comitato di Settore Regioni Sanità che indica il superamento della desueta articolazione del personale del SSN nei quattro ruoli del DPR 761/79 (sanitario, tecnico, professionale ed amministrativo) non più rispondenti all’evoluzione ordinamentale e formativa nelle più consone aree funzionali: sanitaria, sociosanitaria, amministrazione dei fattori produttivi, ambientale e ricerca, dalla FIALS pienamente condiviso, rende necessaria una norma, che può essere veicolata nel primo provvedimento legislativo utile, che legiferi l’abolizione dei suddetti quattro ruoli sostituendoli con le sopradescritte nuove aree funzionali.

In attesa di un confronto che, con la presente si richiede, su quali nuovi profili da istituire nella richiamata area delle professioni e del personale sociosanitari, riteniamo opportuno un immediato confronto sulle problematiche aperte sui quattro profili sociosanitari già normati dalla legge 3/18 articolo 5, che di seguito a grandi linee si descrivono.

Per quanto riguarda la professione di educatore professionale già dal suo decreto istitutivo del profilo professionale da parte del Ministero della Salute è individuato quale operatore che è sia sociale che sanitario la cui formazione deve avvenire con il concorso di più facoltà universitarie, quindi già aderente alla norma del 3 octies del d.lgs. 502/92; si pone, però, l’antica e vexata quaestio della sua riunificazione con il profilo analogo formato nella facoltà di scienze della formazione, questione complicata dallo specifico emendamento sui pedagogisti contenuto nella vigente legge di bilancio; questa nuova dimensione giuridica potrebbe far riavviare il percorso di confronto e dialogo; la norma, infine, prevede che rimanga con il suo albo professionale del neo ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della prevenzione e della riabilitazione, che quindi oltre che essere un ordine multi-albo diviene un ordine pluri-aree funzionali.

La professione di assistente sociale, invece, ha la sua specifica legge istitutiva con relativo ordine professionale ed ora con questo riconoscimento di professione sociosanitaria può espletare al massimo il potenziale operativo che proprio tale legge prevede; rimane, per gli assistenti sociali dipendenti del SSN l’incompiuta istituzione della qualifica dirigenziale a tempo indeterminato come prevista invece per le professioni sanitarie (articoli 6 e 7 della legge 251/00), così come sono esclusi dalle funzioni e dai requisiti previsti dall’articolo 6 della legge 251/00 sia per la funzione di coordinamento che di quella di specialista ed ora tale carenza è doveroso che sia definitamente risolta. Inoltre per questa professione si pone il problema dell’attuazione piena dei contenuti previsti dallo specifico Tavolo tecnico “FUNZIONI DEL SERVIZIO SOCIALE PROFESSIONALE”  promosso dal Ministero della Salute con tutte le rappresentanze professionali e sindacali della professione di assistente sociale approvato il 29 ottobre 2010 e disatteso da molte Regioni ed integralmente e estensivamente recepito dalla Regione Piemonte con DGR 16 febbraio 2018 n.17” Nuove Linee di indirizzo per lo svolgimento delle funzioni sociali e dell’organizzazione del Servizio Sociale Professionale Aziendale delle Aziende sanitarie della Regione Piemonte” deliberazione che nel condividerla appieno se ne auspica un’approvazione quale accordo Stato-regioni o accordo Ministero della salute- regioni o quanto meno un’indicazione unitaria della Commissione Salute delle Regioni.

Per il sociologo, inoltre, non esiste una legge istitutiva della professione, si sta per varare una norma UNI di cui alla legge sulle professioni non regolamentate e nel SSN è previsto sia il profilo professionale di dirigente sociologo del ruolo tecnico ed un collaboratore professionale amministrativo dell’area sociologica: si rende necessario invece in attuazione dell’articolo 5 della legge 3/18 elaborare e varare uno specifico  Accordo Stato Regioni che regolamenti il profilo professione della professione sociosanitaria di sociologo, rivedere  ed adeguare alle nuove finalità gli ordinamenti didattici della laurea, della laurea magistrale e della formazione post-laurea, rivisto l’inquadramento giuridico prevedendo sia il profilo di sociologo nei contratti del personale dei livelli che in quelle delle aree dirigenziali, ovviamente non solo in sanità ma anche negli altri comparti pubblici ma anche in quelli privati.

Infine la questione del profilo professionale di operatore sociosanitario per il quale  si può avviare a soluzione in suo incongruo attuale inquadramento nel ruolo tecnico; certamente se in questa nuova riconosciuta collocazione giuridica può trovare la corretta collaborazione ed interazione con le professioni sanitarie e sociosanitarie, a mio parere, Ministero della Salute e Regioni potrebbero avviare quel processo di perfezionamento contenuto già nello specifico Tavolo ministeriale e mai attuato ad iniziare dalla formazione, ribadendo sia la titolarietà delle sedi formative del SSN che un’eguale formazione quanti-qualitativa a livello nazionale: pertanto sarebbe necessario rivederne le competenze prevedendo anche la loro implementazione con percorsi formativi successivi al diploma, stabilire un percorso formativo omogeneo sul territorio nazionale se del caso riordinando la formazione degli Istituti professionali di servizio sociale, come già sperimentalmente molte Regioni hanno già attuato e come prevedeva uno specifico ordine del giorno nella passata Legislatura, prevedendo che i primi anni siano dedicati alla formazione abilitante al profilo di OSS ed i successivi ad acquisire il diploma di maturità.

Per concludere, come si è descritto, la questione è complessa ma non complicata, quanto mai attuale anche se soffre di troppi anni di assenza di risposte positive che, invece, ora possono essere fornite e pertanto Le rinnoviamo una richiesta di confronto sulla materia, da estendere successivamente o da subito, come Lei riterrà opportuno, con la rappresentanza delle Regioni.

Segreteria generale Fials

 

Redazione Nurse Times

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