I medici dell’ospedale Cimino di Termini Imerese commisero degli errori quando curarono un paziente di 75 anni che si era presentato al Pronto soccorso dopo essere caduto e aver battuto violentemente la testa, e che poi era morto. Tuttavia “anche un comportamento alternativo corretto non avrebbe scongiurato l’evento morte, che si sarebbe comunque verificato”.
Per questo i giudici della seconda sezione civile della Corte d’Appello hanno rigettato la richiesta di risarcimento da quasi 1 milione avanzata dai figli dell’anziano (la moglie è deceduta durante il processo) e li hanno invece condannati a pagare le spese di giudizio sostenute dall’Asp, cioè oltre 7.300 euro. La sentenza conferma quella emessa dal Tribunale di Termini Imerese nel gennaio 2021, che allo stesso modo aveva accolto le tesi dell’Asp Palermo.
“E’ certamente emerso che i sanitari dell’ospedale di Termini Imerese incorsero in due importanti imperizie – scrivono i giudici d’appello -, riconosciute da tutti i consulenti che hanno analizzato la documentazione: una prima errata refertazione degli esiti della Tac eseguita nell’immediatezza dell’arrivo al Pronto soccorso e una condotta colposa in capo al medico del Pronto soccorso, anche indotto in errore dagli errati esiti della prima Tac, il quale, considerato tutti i fattori di rischio, avrebbe dovuto sottoporre subito il paziente ad una consulenza specialistica neurochirurgica”.
Successivamente trasferito al Civico di Palermo, l’anziano fu sottoposto a un delicato intervento, che risultò “all’esito tecnicamente riuscito”, come scrisse il giudice di primo grado. Fu quindi trasferito in Rianimazione, dove avrebbe mostrato anche segni di miglioramento, visto che, pur restando in coma, sarebbe riuscito a respirare autonomamente. Il 22 marzo insorsero però nuove complicazioni, e il giorno successivo avvenne il decesso.
“Gli esiti degli approfonditi accertamenti peritali – affermano i giudici di secondo grado – hanno dimostrato che anche un comportamento alternativo corretto non avrebbe scongiurato l’evento morte, che si sarebbe comunque verificato con elevatissima probabilità in presenza del quadro clinico così grave in cui versava il paziente e dei plurimi fattori di rischio e ciò recide il nesso eziologico tra la condotta imperita e l’evento dannoso, costituito dall’avvenuto decesso”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Palermo Today
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