Ammalarsi e l’arte di arrangiarsi

A leggere il XIV Rapporto sulle politiche nazionali sulla cronicità non vi è nulla di cui vantarsi, il titolo utilizzato descrive ottimamente la situazione “l’arte di arrangiarsi”, mi verrebbe da dire “non c’è alcuna politica”.

E’ evidente che le forme autoreferenziali con cui i venditori di fumo tentano di convincerci che “abbiamo un sistema che tiene e da risposte ai cittadini” sono stati clamorosamente smentiti da fatti e dai dati, sebbene in questo paese anche i dati sono diventati flessibili a pro domo suo rispetto a chi li usa e per quale propaganda.

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Cittadinanzattiva denuncia senza mezzi termini l’incapacità del Paese a dare risposte concrete, come si legge nel comunicato diramato agli organi di stampa:

“I tagli al SSN hanno colpito, e non poco, anche l’assistenza alle persone con patologie croniche e rare. E meno male che la cronicità è la sfida del futuro per la sostenibilità del SSN! Nei fatti, sulle cronicità siamo in ritardo cronico.

Stando alle scadenze fissate dal Patto per la Salute, da dicembre 2014 avremmo dovuto avere finalmente un Piano nazionale delle cronicità e entro ottobre 2014 l’Intesa sulla continuità assistenziale ospedale-territorio. E invece ancora nulla di fatto. Sull’ISEE, nonostante le sentenze di TAR e Consiglio di Stato abbiano dichiarato illegittimo conteggiare le prestazioni assistenziali nel computo dei redditi, ancora manca all’appello l’adeguamento normativo, così come richiesto dalla sentenza e le modalità di gestione della fase transitoria.

Mentre per invalidità civile, invalidità e handicap restano ancora troppo violate le normative a tutela del malato. Da 15 anni aspettiamo i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza per adeguarli ai tempi e ai bisogni; ma anche su questo le scadenze sono state disattese: basti pensare che la legge di Stabilità ha vincolato 800 milioni di euro per approvare i LEA entro febbraio 2016.

Ma oggi non si sa né quali siano i tempi dell’approvazione, né soprattutto cosa conterranno o non conterranno i nuovi LEA, tanto che nessuna associazione del Coordinamento nazionale Associazioni Malati Cronici ha potuto leggere la bozza di LEA pronta per il passaggio al Ministero dell’Economia.

Sui Livelli essenziali di assistenza chiediamo a Ministero e Regioni l’impegno ad un confronto preventivo all’approvazione per offrire un contributo e evitare eventuali brutte sorprese”

Nulla di nuovo sul fronte sanitario, siamo sempre alla politica degli annunci e dei tagli.

Il 38,3% dei nostri connazionali ha almeno una fra le principali patologie croniche (nell’ordine ipertensione, artrite/artrosi, malattie allergiche, osteoporosi, bronchite cronica e asma bronchiale, diabete). Uno su cinque ha due o più malattie croniche. Meno della metà (42%) si dichiara in buona salute. Siamo un paese di vecchi e di malati, con un SSN ridotto ai minimi termini, non resta che il pellegrinaggio a Lourdes.

Entrando nello specifico, secondo le informazioni raccolte dal 38 federazioni e associazioni nazionali di persone con malattie croniche e rare aderenti al Cn AMC, emerge quanto segue:

  • il 90% delle Associazioni teme che tagli ai servizi e riduzione delle risorse economiche comportino un aggravamento delle proprie condizioni di salute
  • il 76% mette in evidenza criticità legate a tagli e riduzioni
  • il 70% afferma che la riduzione del personale nei centri specialistici ha avuto effetti immediati sulle liste di attesa, di cui:
  • il 62%, comunica che si sono allungate;
  • il 57% denuncia la chiusura di reparti;
  • il 45,7% la riduzione delle ore o dei cicli di riabilitazione;
  • il 37% ha visto ridurre le agevolazioni a sostegno dei malati e nella stessa percentuale la contrazione dell’assistenza domiciliare
  • una su tre riscontra la mancanza assoluta di servizi alternativi sul territorio
  • il 78% dei pazienti ritiene siano stati di fatto tagliati o ridimensionati i trasporti sociali
  • una su due denuncia l’allontanamento dal proprio domicilio dei Centri di riferimento, di cui il 23,5% ne denuncia la difficoltà a raggiungerli
  • il 47% dichiara di dover sostenere costi privati più elevati per spostarsi verso strutture adeguate alla cura della propria patologia.

La tanto sospirata Assistenza Domiciliare non risponde affatto alle esigenze dei malati, la famigerata integrazione socio sanitaria non esiste o perlomeno viene declinata pomposamente sulla carta salvo poi ritrovarla clamorosamente “mediata” dal punto di vista operativo, una mediazione fatta di tagli di risorse e di personale e nessun progetto fattivo per il futuro, fatto salvo le solite dichiarazioni.

Anche in questo caso i dati sono sconfortanti per non dire allarmanti:

  • il 53% la ritiene inadeguata. In particolare
  • il 71% trova inadeguato il numero di ore di assistenza erogate
  • il 52% evidenzia lacune nella riabilitazione
  • il 33% lamenta che il personale non sia adeguato, soprattutto coloro che effettuano le visite a domicilio
  • il 24% denuncia pratiche burocratiche troppo complicate

Nel Paese di Kafka, come l’Italia si sta trasformando, la burocrazia riveste un ruolo fondamentale nell’ostacolare i malati cronici e le loro famiglie, in un caos normativo che spesso cambia da Azienda ad Azienda, anche qui i dati sono impietosi:

  • il 72% delle associazioni riceve segnalazioni su tempi lunghi per l’ottenimento di una pratica
  • il 56% denuncia una mancanza di informazione
  • il 45% denuncia complessità delle procedure
  • il 35% ha difficoltà nell’individuazione dell’ufficio competente

Le maggiori criticità denunciate sono nei percorsi di riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap. Il 45% delle associazioni denuncia difficoltà nell’ottenere i benefici connessi, mentre il 26% nell’ottenere l’indennità di accompagnamento o le agevolazioni derivate dalla legge 104/92.

Altro capitolo è il problema legato alla mancanza di una legge sui caregiver, ovvero coloro che si occupano di assistere i propri congiunti a domicilio. Il quadro che emerge è desolante e fa intendere in quanta solitudine si trovano a combattere quotidianamente queste persone:

  • oltre il 93% dichiara che la prima difficoltà è di conciliare tale assistenza con l’attività lavorativa
  • il 57,8% si è visto costretto a ridurre l’orario di lavoro
  • il 35,6% ha addirittura lasciato il lavoro
  • il 22% ha chiesto il prepensionamento
  • Il 42% delle famiglie ha optato invece per un assistente esterno (per lo più badanti)

Utile ricordare che è stato da poco depositata un DDL in Parlamento proprio per regolamentare questa figura, come peraltro già fanno altri Paesi della UE.

Ma se fino ad ora i dati possono sembrare impietosi, quelli seguenti non potranno che confermare che il Sistema non solo non regge ma fa acqua da tutte le parti con buona pace di chi continua a vendere annunci agli Italiani.

Se hai la sfortuna di essere malato ma riesci a lavorare, le condizioni sono queste:

  • il 62% ha difficoltà nel prendersi i permessi di cura
  • il 57% svolge mansioni non adatte al proprio stato di salute con la conseguenza che:
  • il che comporta, per il 47,6% un peggioramento delle proprie condizioni
  • il 45,2% è costretto a nascondere la patologia
  • il 38% rinuncia a lavorare.

Le cose non vanno meglio dal punto di vista diagnostico:

  • il 73% denuncia diagnosi incerte e troppo lunghe
  • 86% punta il dito contro i medici che appaiono come primo ostacolo, per complessità di sintomatologia o sottovalutazione
  • Il 47% rileva la difficoltà di trovare i centri di riferimento
  • il 36% si scontra con liste di attesa troppo lunghe per visite ed esami.

Se ad essere affetti da patologia cronica o rara sono i bambini, il 30,5% delle famiglie afferma di confrontarsi con un pediatra che sottovaluta o non comprende i sintomi.

Se si ha la fortuna di individuare un nome per la propria malattia, non vi è alcun sostegno psicologico (lo denuncia l’80% delle associazioni) e oltre il 60% dichiara di la totale mancanza di orientamento ai servizi.

Non credo sia necessario commentare dati che si commentano da soli. Eppure di convegni sui “bisogni di salute” se ne fanno uno al mese, esattamente a cosa portano se poi il quadro dei risultati è questo?

Potremmo noi Infermieri cambiare qualcosa? Potremmo, tuttavia non sembra oggi tra le nostre priorità, ma di questo parleremo più avanti.

Piero Caramello

Redazione Nurse Times

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