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Aids, a Milano torna sieropositivo il bimbo che sembrava guarito dal virus dell’Hiv

 

In Italia, all’ospedale Sacco, la seconda speranza delusa dopo il caso della piccola in Mississippi. Il trattamento precoce massiccio pareva aver fatto effetto, ma ha solo ‘addormentato’ la malattia

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Anche Milano ha il suo ‘Mississippi baby’, un caso del tutto analogo a quello della bimba americana positiva al virus dell’Hiv che con la sua storia è finita per due volte sotto i riflettori delle cronache mondiali: la prima nel marzo del 2013, quando a un congresso internazionale fu data la notizia della sua guarigione dopo una massiccia terapia antiretrovirale iniziata dalla nascita.

 

La seconda nel luglio scorso, quando, dopo la sospensione del trattamento, il virus è riapparso nel sangue. La stessa cosa è accaduta a un ‘Milano baby’ in cura all’ospedale Sacco, dato alla luce nel 2009 da una donna Hiv-positiva, e anche lui infetto al momento dalla nascita. Subito è iniziata la terapia d’urto che ha abbattuto la carica virale fino ad azzerarla. Per 3 anni nessuna traccia di Hiv. Ma dopo lo stop alle cure, di nuovo la sua ricomparsa.

Il caso è descritto su Lancet e dimostra “purtroppo che la guarigione dall’Hiv può essere solo apparente”, spiega Mario Clerici, del dipartimento di Fisiopatologia medico-chirurgica e dei trapianti dell’università Statale di Milano-Fondazione Don Gnocchi. “Il piccolo ora ha 5 anni, ha ripreso i farmaci e da un anno per effetto delle terapie il virus è ancora scomparso. Ma non si può più parlare di guarigione”.

Non solo. Per la prima volta al mondo gli scienziati milanesi hanno verificato che “l’Hiv lascia sul sistema immunitario delle tracce indelebili, anche nel periodo in cui il virus sembra completamente sparito dall’organismo. E’ come quando si cammina sul cemento ancora fresco: le impronte rimangono per sempre”, sottolinea Clerici.

Al centro dello studio italiano c’è l’osservazione condotta su un neonato assistito da Vania Giacomet e Gianvincenzo Zuccotti del reparto di Pediatria del Sacco di Milano. Era il dicembre del 2009: la madre si era presentata in ospedale, in travaglio, alla 41esima settimana di gravidanza. Nel passato aveva fatto uso di droghe endovena, ma ignorava di essere Hiv-positiva. Il neonato è venuto alla luce con un parto naturale, in buone condizioni, e i test hanno individuato una quantità elevatissima di virus nel sangue del piccolo (oltre 150mila copie per millilitro). Entro le prime 12 ore di vita i medici hanno quindi iniziato la profilassi antiretrovirale ‘strong’, all’inizio con zidovudina e nevirapina e poi con un cocktatil a 3 (lopinavir, zidovudina e lamivudina). I tassi di Hiv sono crollati e, dopo 6 mesi, del virus non c’era più traccia.

Ogni esame virologico condotto da Nadia Zanchetta e Mariarita Gismondo del reparto di Microbiologia clinica e virologia risultava negativo. Il ‘Milano baby’ “aveva perso del tutto la sua sieroporitività – dice Clerici – e per 3 anni, da ogni punto di vista, è sembrato definitivamente guarito”. Tuttavia, approfonditi esami immunologici svolti dal gruppo di Clerici – Daria Trabattoni e Mara Biasin della cattedra di Immunologia della Statale – eseguiti nella fase di apparente guarigione del bebè, hanno svelato la presenza di “profonde alterazioni, simili a quelle che caratterizzano i pazienti con infezione attiva”.

Dopo la prima notizia dagli Usa, con l’annuncio del successo della sospensione delle cure alla bimba Mississippi, “la madre – continua Clerici – ha chiesto se fosse possibile interrompere anche per il suo bimbo la terapia” e con il consenso di tutti si è tentato lo stop. Dopo l’interruzione, però, l’infezione è riapparsa rapidamente. “Abbiamo dimostrato che le analisi immunologiche possono rivelare la mancanza di guarigione anche quando il virus sembra completamente scomparso”. Un’evidenza che non era stata raggiunta nel caso della bambina americana (tornata anche lei Hiv-positiva) e nemmeno nel famoso ‘paziente Berlino’, l’uomo che si è sieronegativizzato dopo un trapianto di staminali ematopoietiche prelevate da un donatore dotato di una mutazione ‘scudo’ contro il virus dell’Aids, e ritenuto ad oggi l’unico adulto guarito dall’Hiv.

“Malgrado i farmaci a nostra disposizione possano diminuire la morbilità e la mortalità” da Hiv-Aids, “al momento non sono in grado di eliminare veramente il virus – conclude Clerici -. L’infezione da Hiv non è ad oggi da considerarsi guaribile: la ricerca di una cura deve continuare”. Al momento resta in sospeso il caso di una bimba di Los Angeles, nata Hiv-positiva nel 2013 e subito trattata con un mix di farmaci. Anche dal suo organismo il virus sembra scomparso, ma la piccola non ha ancora interrotto le cure. Se lo facesse, ipotizzano i medici milanesi, è ormai ragionevole pensare che purtroppo l’Hiv ritornerebbe.

FONTE: www.repubblica.it

Redazione Nurse Times

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