Accosta il Green Pass alla tessera sanitaria voluta da Hitler: infermiere no vax nella bufera

Un’immaggine inequivocabile, pubblicata sui profili social, testimonia la presa di posizione assunta da un operatore in servizio a Parma. La protesta dei colleghi: “Perché non lo sospendono?”.

Il Green Pass come l’Ahnenpass, la tessera sanitaria voluta da Adolf Hitler nel 1941. Questo l’accostamento a dir poco infelice proposto con un’immagine inequivocabile (che qui preferiamo non riproporre) che un infermiere no vax in servizio a Parma, candidato del M5S e delegato del sindacato Fisi ha pubblicato sui suoi profili social.

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Una presa di posizione che non ha mancato di suscitare le proteste dei colleghi “regolari”, ossia quelli vaccinati, raccolte da Parmapress24: “Perche non lo sospendono? Lo ha sancito anche una pronuncia recente del Tribunale di Modena che devono essere sospesi”. Già, perché? “Perchè lavoriamo sotto numero e sotto forte stress da mesi, da marzo 2020, quando è scoppiato il Covid. Siamo pochi, servirebbero assunzioni. Le chiediamo da tempo, ma senza successo. L’azienda non sospende nessuno perchè non ci sono abbastanza infermieri per le esigenze dell’ospedale. Si rischia il collasso. Ma le assunzioni sono un miraggio, e ne fanno le spese i pazienti. Un no vax è pericoloso”.

“Il datore di lavoro – si legge nell’Ordinanza n. 2467 emessa lo scorso 23 luglio dal Tribunale di Modena, a cui fanno riferimento gli infermieri – si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’art. 2087 del codice civile di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori”.

Il Tribunale ricorda come la direttiva Ue 2020/739 del 3 giugno 2020 abbia incluso il Covid-19 tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione anche negli ambienti di lavoro. Rientra quindi tra i doveri di protezione e sicurezza sui luoghi di lavoro, dettati dal D.lgs 81/2008, quello di tutelare i lavoratori da agenti di rischio esterni. Non basta più l’uso delle mascherine, come invocato dalle due ricorrenti, per proteggersi adeguatamente. Così come il datore di lavoro non è tenuto a fornire al lavoratore ulteriori informazioni sui rischi/benefici della vaccinazione, trattandosi di informazioni ormai notorie.

Nel caso di specie, a presentare il ricorso erano state due fisioterapiste di una Rsa, assunte da una cooperativa di Modena che le aveva sospese senza retribuzione a seguito del loro rifiuto di vaccinarsi. La sospensione era avvenuta prima dell’entrata in vigore del Decreto legge 44/2021, che ha imposto l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario, e che, non avendo efficacia retroattiva, non poteva applicarsi in questo caso.

Il Tribunale ricostruisce allora la vicenda in via generale, delineando il quadro della normativa esistente. Anche se il rifiuto a vaccinarsi non può dar luogo a sanzioni disciplinari, può comportare però conseguenze sul piano della valutazione oggettiva dell’idonenità alla mansione. Così, per chi lavora a contatto col pubblico oppure in spazi chiuso vicino ad altri colleghi, la mancata vaccinazione può costituire un motivo per sospendere il lavoratore senza retribuzione.

Non trova pregio neppure l’asserita violazione della privacy delle lavoratrici che avevano sottoscritto il consenso informato sulla mancata sottoposizione al vaccino, che può essere valutata dal medico aziendale per stabilire l’inidoneità del lavoratore alla mansione. Il diritto alla libertà di autodeterminazione, spiega l’Ordinanza, deve essere bilanciato con altri diritti di rilievo costituzionale, come la salute dei clienti, degli altri dipendenti e il principio di libera iniziativa economica fissato dall’articolo 41 della Costituzione.

In definitiva, se il datore di lavoro non dispone di mansioni che non prevedano contatti con l’utenza, può decidere di sospendere chi non voglia vaccinarsi. Il principio di solidarietà collettiva grava su tutti (compresi i lavoratori) e rende legittima la scelta del datore di lavoro di allontanare momentaneamente il lavoratore non vaccinato. “Tutti gli studi clinici condotti finora – conclude il provvedimento – hanno dimostrato l’efficacia dei vaccini nella prevenzione del Covid-19. La circostanza che le autorità regolatorie abbiano autorizzato la somministrazione del vaccino a partire da 12 anni serve a escludere la natura sperimentale dello stesso, rafforzata dal fatto che allo stato non ci sono evidenze scientifiche che provino il rischio di danni irreversibili a lungo termine”.

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