Collocazione degli oss in ambito sanitario: i dubbi di una caregiver

Rilanciamo l’intervista rilasciata a Redattore Sociale da Sara Bonanno.

Si parla di integrazione socio-sanitaria, ma “l’obiettivo vero di questa misura è ottimizzare le risorse: gli oss sostituiranno gli infermieri specializzati e i nostri figli saranno nelle mani di persone non adeguatamente preparate e capaci di assisterli”. Così Sara Bonanno, una passato da assistente sociale nelle Asl e una vita interamente spesa per assistere suo figlio Simone, manifesta in un’intervista rilasciata a Redattore Sociale tutta la propria preoccupazione per la novità contenuta nell’articolo 34 del Decreto Sostegni bis, che riconosce la collocazione in ambito sanitario delle figure di oss e assistente sociale. Preoccupazioni che già aveva espresso quando, nei mesi scorsi, per sopperire alla carenza di personale sanitario, alcune Regioni avevano disposto il riconoscimento degli oss come infermieri, tramite brevi corsi dedicati.

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“C’è una cosa – dice Bonanno – che non riesco a capire: da quando in qua ottimizzare le risorse in sanità significa risparmiare sulle competenze? Comprendo la necessità di creare un sistema di utilizzo virtuoso delle risorse, ma queste misure (dalla ‘sanatoria’ di Lorenzin fino a questo riconoscimento di una professione sanitaria data a chi fa un corso regionale di massimo otto mesi, quando va bene) sono chiaramente orientate a risparmiare sulle risorse sulla cura dei malati”.

E domanda ancora: “Come si fa a concepire un sistema sanitario che risparmia sui malati?”. E’ per lei infatti una certezza che “queste nuove figure sanitarie non saranno impiegate a completamento di un equipe pluriprofessionale ad elevata competenza, ma verranno massicciamente utilizzate in sostituzuibe di competenze e professionalità all’interno di Rsa e nelle cure domiciliari destinate a persone che, oltre la malattia, hanno anche una disabilità”.

Un modo, insomma, per sopperire a una carenza che lei stessa, con suo figlio, ha spesso sperimentato sulla propria pelle, specialmente da quando la pandemia ha succhiato risorse umane, provocando un vero e proprio esodo degli infermieri negli ospedali e nelle strutture sanitarie e, di conseguenza, una sofferenza delle famiglie che necessitano di assistenza infermieristica domiciliare.

Ribadisce Bonanno: “Attenzione, questa è la cosa più rilevante: il risparmio di competenze e professionalità viene destinato a chi è più malato: credo non sia necessario rilevare che curare una patologia su un corpo che ha anche una o più disabilità richiede più attenzione, più competenza, più professionalità, più esperienza, Non certo meno!”

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Una scelta coerente con la visione diffusa della disabilità come “fattore impoverente della popolazione”, dice ancora Bonanno, che aggiunge: “Di fatto le cure meno professionali e competenti saranno destinate ai malati più poveri. E che fine ha fatto l’art. 32 della Costituzione che garantisce le cure agli indigenti? Eppure questa modalità di pensiero ormai, complice la pandemia, sembra essere entrata nel sentire comune, come il fatto che le persone che sono più malate debbano essere utilizzate come se fossero dei manichini inanimati adatti all’addestramento del personale sanitario. Perché è questo che accadrà: noi saremo le cavie di questi nuovi oss che diventeranno di fatto infermieri sulla pelle dei nostri figli. Ma è quello che succede da troppo tempo: il personale più competente viene veicolato nei reparti, dov’è sempre presente un equipe pluriprofessionale che può, all’occorrenza, intervenire immediatamente sugli errori e dimenticanze di chi sta imparando. Al contrario, gli operatori sanitari di primo pelo, ed adesso gli oss che, se va bene, hanno guardato le manovre più invasive di rianimazione, aspirazione, cateterismo e quant’altro su YouTube, saranno mandati a domicilio o nelle Rsa, con i pazienti più gravi che fungeranno da manichini per imparare”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Redattore Sociale

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