Siamo in Siria, ad Aleppo, all’interno di una delle poche strutture ospedaliere ancora in piedi. Un bimbo, sanguinante, spaventato, sopravvissuto all’ennesimo bombardamento, viene adagiato su un lettino di emergenza. Piange ininterrottamente e cerca più volte di trovare rifugio tra le braccia dell’infermiere che si sta prendendo cura di lui. Che ricambia. Che lo consola. E che prova a calmarlo.
Anche questa è guerra.
Guerra che straripa violenta più che mai, dai fotogrammi di questo breve video, apparso sulla pagina Facebook della SAMS (Syrian American Medical Society, che in Siria gestisce 106 strutture mediche); e che strazia il cuore, nella sua cruda semplicità.
“Questo è ciò che i bambini siriani sono costretti a sopportare tutti i giorni. Questa è la loro agonia”, si legge nel post che accompagna il video.
Per noi, al sicuro (o quasi) delle nostre strade e delle nostre case, è molto strano vedere un bambino così piccolo, ferito, terrorizzato, cercare conforto nell’abbraccio di un “dottore” a lui estraneo.
È strano e forse…addirittura impensabile. Perché da queste parti, dove il significato delle parole “pace”, “libertà” e “guerra” si è oramai smarrito nei decenni, siamo più abituati a veder piangere disperati i nostri figli proprio perché magari l’hanno visto solo passare in corsia, un medico o un infermiere; perché per loro rappresenta solo un potenziale e spietato esecutore di “punture”, o un erogatore sadico di medicine tanto disgustose. Non rappresenta la salvezza. O la fine di un incubo.
Anche questa è guerra.
Guerra che, purtroppo, è ben sintetizzata nelle parole di un infermiere, impiegato nell’area a est di Aleppo: “La vita è diventata disastrosa. Nessuna fotocamera o nessuna penna può descrivere quello che stiamo vivendo qui”.
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