Tragedia sfiorata a Euro 2020: Eriksen vittima di un arresto cardiaco in campo. Decisiva la tempestività dei soccorsi

“Si è aggrappato alla vita”, racconta il medico della Nazionale danese. “Il defibrillatore è una grande invenzione”, commenta l’esperto.

È il miunuto numero 43 di Danimarca-Finlandia, partita valida per il girone B dell’Europeo di calcio. Si gioca a Copenaghen. Christian Eriksen, il giocatore più rappresentativo della squadra danese, si avvicina alla linea del fallo laterale per ricevere palla da un compagno, ma a un tratto comincia a barcollare. Pochi passi e crolla a terra, vittima di un arresto cardiaco. Per fortuna i compagni, l’arbitro, gli avversari, si accorgono del dramma e scattano subito i soccorsi. Si teme il peggio, ma alla fine tutto si risolve per il meglio e ora l’atleta 29enne è fuori pericolo.

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Il medico della Nazionale danese, Morten Boesen, ricostruisce così la vicenda: “Siamo stati chiamati in campo appena Christian è caduto. Non lo vedevo, ma era abbastanza chiaro che avesse perso conoscenza. Quando siamo arrivati da lui era su un fianco: respirava e gli ho sentito il polso. Ma all’improvviso non c’era più battito e abbiamo cominciato il massaggio cardiaco. L’aiuto è arrivato davvero in fretta dallo staff medico, con la cui collaborazione siamo riusciti a fare quello che dovevamo. Abbiamo fatto il necessario per tenerlo in vita. Per fortuna lui si è aggrappato alla vita“.

Così, invece, il professor Gaetano Thiene, esperto di morte cardiaca improvvisa negli atleti: “Christian Eriksen era già alle porte dell’aldilà: la fibrillazione ventricolare è l’anticamera della morte. E invece il miracolo, questa volta, è avvenuto. Gli hanno salvato la vita, la sua è stata una morte improvvisa abortita. È stato un grande successo. Il paradosso è che c’erano già stati più di 40 minuti di gioco, ma questo non è un problema per un atleta. Il cuore è capace di prestazioni sportive enormi, di grandi performance meccaniche, ma la stabilità elettrica è un’altra storia. Nel cuore di Eriksen c’è stato un cortocircuito”.

Fondamentale, come detto, la tempestività dei soccorsi. “Per questo dico che i soccorritori andrebbero tutti premiati – prosegue Thiene, che eseguì la perizia su Davide Astori, il difensore della Fiorentina morto il 4 marzo 2018 e quella su Antonio Puerta, il centrocampista del Siviglia colpito da un arresto cardiaco in campo il 25 agosto 2007 –. Andrebbe premiato il compagno di squadra (il capitano Simon Kjaer, ndr), che ha avuto la prontezza di spostargli la lingua per riaprire le vie aeree superiori. Andrebbero premiati i medici, che per diversi minuti hanno praticato il massaggio cardiaco affinchché il cuore potesse pompare. E poi coloro che hanno usato il defibrillatore, che è una grandissima invenzione, un vero salvavita. Se l’hanno usato, vuol dire che era in corso una fibrillazione ventricolare. Il ragazzo aveva perso conoscienza: non poteva essere una sincope banale da caldo o da freddo. Fosse stato così, si sarebbe presto rialzato”.

A sancire il lieto fine della vicenda, le parole del cittì danese, Kasper Hjulmand: “Non potevamo prendere alcuna decisione fino a quando Eriksen non avesse ripreso conoscenza. Una volta che lui si è ripreso, avevamo due opzioni: riprendere a giocare o riprovarci il giorno dopo. Saputo che lui stava bene, la maggior parte della squadra ha deciso che era giusto tornare subito in campo”.

Anzi, è stato lo stesso Eriksen a chiedere ai compagni di tornare in campo, come conferma Joel Pohjanpalo, il finlandese autore del gol che ha deciso la sfida: “Voleva che continuassimo, lo ha detto ai suoi compagni. E noi abbiamo preso la decisione di giocare assieme a loro. Sapevamo che stava bene, ma penso comunque a lui e alla sua famiglia. Spero che torni al più presto. È stato bello vedere il calcio unirsi per lui, i tifosi cantare il suo nome”.

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