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Tiziana Panella “Tagadà” La7: se il giornalista disinforma…

Quanto ho avuto la sventura di vedere nella trasmissione “Tagadà”, condotta da Tiziana Panella su LA7, dello scorso 18 Marzo, non può non portare tutti noi ad una riflessione.
Nella trasmissione si parlava del tragico decesso, avvenuto a Roma, di un paziente presentatosi al “Pertini” di Roma, pare per un dolore addominale, e triagiato in codice verde da un collega del Pronto Soccorso.
Questi i fatti disponibili al momento sui quali, comprensibilmente e doverosamente, è in corso una indagine della magistratura.
Quello che colpisce è la violenza dell’attacco, da parte della giornalista e di alcuni suoi ospiti, alla categoria infermieristica, in particolare ai tanti colleghi che in ogni momento della giornata prestano con competenza e professionalità la loro opera contribuendo a salvare, proprio grazie alle loro valutazioni, molte vite umane.

“Muore di codice verde”: così si esprime la Panella, aggiungendo che “lo vuole dire a voce alta”.
Ci si chiede a cosa servono i giudici, in Italia, se abbiamo già questi giornalisti.
Sarebbe doveroso, al contrario, non esprimersi, in questa fase, sui fatti accaduti per i quali dovranno essere accertate dalla magistratura le eventuali responsabilità, che per quello che riguarda il collega coinvolto potranno emergere come no. Si dovranno stabilire i nessi causali tra triage e decesso e tutta una serie di altri tecnicismi (la presenza di otto indagati spiega da sola che la vicenda potrebbe essere più complessa di come la si pone) che certamente non possono essere esauriti in dieci minuti di trasmissione.
Quello che invece si è deciso di fare, inspiegabilmente, è stata una disinformazione scientifica, che rientra perfettamente, quasi a sembrarle organica, nella campagna di delegittimazione cui si sta assistendo negli ultimi tempi verso gli infermieri che operano nell’emergenza urgenza.
Qualcuno spieghi alla Signora Panella che quel codice che “non decide la gravità…(e quindi che codice è..?)” è un codice di priorità di accesso. Tale codice viene stabilito ed assegnato attraverso la ricerca di una serie di indicatori standard e ha la funzione di evitare che un infarto passi, magari, dopo una lussazione di spalla all’attenzione del medico di pronto soccorso, il quale è pagato e formato per fare diagnosi, che non si pùò fare semplicemente guardando negli occhi chi entra dalla porta del pronto soccorso, e non per decidere priorità di accesso al servizio.

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Qualcuno spieghi alla Signora Panella e a Ferruccio De Bortoli (che si esprime pur ammettendo di “sapere poco di sanità”) che prima di parlare di malasanità sarebbe opportuno e doveroso aspettare il pronunciamento di un giudice.
Qualcuno spieghi a Cecchi Paone e sempre alla Panella che chi fa triage ha proprio studiato per quello, dato che questa pratica è prettamente infermieristica e che per compierla sono previsti corsi di formazione specifici dopo, ovviamente, una laurea che agli infermieri nessuno regala.
Qualcuno spieghi, per favore, a questi signori, che si può parlare di qualunque argomento avendo però cura di informarsi preventivamente, in maniera seria e completa, evitando di correre il rischio di disinformare, esatto contrario di quanto dovrebbe fare un giornalista, ingenerando nel contempo sfiducia immotivata in servizi che sono fondamentali per il benessere della popolazione.
Parlare di un argomento come quello trattato senza invitare neppure un infermiere credo che qualifichi, da solo, la serietà del contesto.
Alla domanda “perchè in triage mi accoglie un infermiere e non un medico, che mi farebbe stare più tranquilla” davvero non vale la pena rispondere. Basterebbe avere fatto una ricerca banale su Google per avere ottenuto la risposta.
Chiacchiere da bar fatte davanti ad una telecamera, nulla di più. Da un programma che vorrebbe trattare temi seri ci si aspetterebbe di più e meglio.
Quello che rincuora è ciò che si trova in rete, quei 167.000 spettatori del programma del mese di Novembre con quel 1,36 di share che classificano il programma come un flop. Viene da dire “meno male” per il danno lieve fatto sulla popolazione, che evidentemente è più capace di quello che si crede di riconoscere la qualità dell’offerta televisiva. Viene però da arrabbiarsi, molto, per la mancanza di rispetto che si riserva, ancora una volta, alla categoria infermieristica.
Il povero paziente deceduto e la sua famiglia, la cui storia non deve essere strumentalizzata da un simile chiacchiericcio ma deve anzi servire da stimolo al miglioramento del sistema , meritano solo tre cose: Rispetto, Verità e Giustizia.

Roberto Romano
Consigliere IPASVI Firenze
Referente Emergenza Urgenza

Redazione Nurse Times

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