L’educazione alla salute è un’occasione consapevole di apprendimento, che prevede forme di comunicazione orientate alle conoscenze e allo sviluppo di abilità per la salute individuale e collettiva.
“La malattia è sintomo, prova e insegnamento”
(Michel Demaison).
L’infermità, soprattutto se cronica, obbliga il paziente a scelte e comportamenti che investono la sua vita quotidiana anche negli aspetti più intimi (matrimonio, figli).
Non deve, quindi, meravigliare che, per affrontare al meglio la malattia, il paziente possa avvantaggiarsi di specifici interventi educativi.
Con il termine informazione abbiamo il trasferimento di un messaggio da un soggetto emittente ad uno ricevente; è una forma di trasmissione di informazioni e dati passiva ed incentrata su chi la fornisce.
Fà parte del dialogo tra curante e malato ed è costituita da un insieme di consigli, raccomandazioni e istruzioni.
L’educazione rappresenta invece un processo interattivo focalizzato su colui che apprende; una pratica più complessa che implica una diagnosi educativa, la scelta di obiettivi d’apprendimento e l’applicazione di tecniche d’insegnamento e di valutazione pertinenti al fine di consentire al paziente di:
Possiamo distinguere modalità di “educazione” in ambito sanitario a cui corrispondo differenti modalità di approccio terapeutico:
E’ un’occasione consapevole di apprendimento, che prevede forme di comunicazione orientate alle conoscenze e allo sviluppo di abilità per la salute individuale e collettiva. Opportunità strutturate e sistematiche di comunicazione per sviluppare le conoscenze e le abilità personali necessarie per la salute individuale e collettiva (Glossario OMS). E’ rivolta alle persone in stato di salute e promuove stili di vita salutari sulla base dell’autoresponsabilizzazione della popolazione.
“Attività di comunicazione intesa ad incrementare la salute, ad eliminare i fattori di rischio e a prevenire le malattie,rivolta a soggetti singoli o ad intere comunità e realizzata influenzando positivamente le conoscenze, gli atteggiamenti e i comportamenti del singolo, delle comunità e dei detentori del potere”
(Smith, 1979)
Si concretizza in iniziative informative ed educative volte a rendere il cittadino parte attiva e consapevole nel rapporto con il servizio sanitario sviluppando in questo ultimo conoscenze di carattere sanitario, al fine di migliorare l’efficacia dei servizi e di creare le condizioni per l’effettivo esercizio da parte del cittadino del principio di autonomia nei trattamenti sanitari. (P.S.R. 1999/2001)
Secondo la definizione OMS: “Aiutare il paziente e la sua famiglia a comprendere la malattia ed il trattamento, a collaborare alle cure, a farsi carico del proprio stato di salute ed a conservare e migliorare la propria qualità di vita”.
Ciò implica un vero e proprio trasferimento pianificato ed organizzato di competenze terapeutiche dai curanti ai pazienti, grazie al quale si passa da dipendenza a responsabilizzazione ed collaborazione attiva. Servono specifiche competenze pedagogiche, acquisite per mezzo di un’apposita formazione interdisciplinare.
L’educazione terapeutica permette al paziente di acquisire e mantenere le capacità e le competenze che lo aiutano a vivere in maniera ottimale con la sua malattia oppure permette l’adattamento della persona all’invecchiamento.
Si tratta di un processo permanente, integrato alle cure e centrato sulla persona e sulla famiglia. L’educazione terapeutica è un processo sostenuto da un metodo, che deve essere costantemente adattato alle diverse esigenze. Il requisito fondamentale per avviare un percorso di educazione terapeutica è:
L’ integrazione delle figure coinvolte determina la definizione del “bisogno educativo” che può essere cosi schematizzato:
L’infermiere/ostetrica in questo nuovo scenario ha lo scopo di:
In questo modo la malattia diviene un luogo di incontro tra le persone.
Un aspetto importante è la motivazione quale “energia che alimenta la dinamica dei comportamenti e delle azioni individuali, la dirige ed orienta verso il conseguimento di finalità generali e specifiche” (Quaglino).
La motivazione alla cura può essere vista dalla prospettiva:
L’educazione terapeutica è dunque:
Tale cambiamento avviene attraverso stadi differenti:
I. Precontemplazione
II. Contemplazione
III. Preparazione
IV. Azione
V. Stadio di mantenimento
Quando un individuo tenta di modificare il proprio comportamento possono tuttavia verificarsi delle ricadute.
Altro aspetto da non sottovalutare è “l’ analisi del bisogno” che non significa analizzare solo ciò che manca, ma anche identificare le potenzialità dell’utente ossia le risorse e i punti di forza su cui agire. Ciò comporta… L’integrazione tra operatore e utente.
Il progetto educativo dunque deve essere coerente sia con l’analisi del bisogno, ma anche con la situazione organizzativa esistente e con le risorse disponibili.
La scelta delle metodologie è strettamente correlata all’area di apprendimento e il tipo di approccio educativo sarà strettamente correlato agli obiettivi concordati.
Stimolare i processi di apprendimento è una sfida che coinvolge in maniera interdipendente sia l’operatore che l’utente. L’operatore deve sempre connotarsi come facilitatore di apprendimento.
Il passaggio da “paziente” a “persona” è una delle parole chiave dell’educazione terapeutica in cui diventa fondamentale la creazione di un’ “alleanza terapeutica”.
Si crea un particolare tipo di relazione tra i due attori in campo definita con il termine di “relazione d’aiuto” in cui l’infermiere si affianca con gradualità alla persona affetta da una patologia cronica con l’obiettivo di sostenerla, informarla, incoraggiarla.
È una relazione che deve portare l’altro alla capacità di “far fronte, tenere testa” (coping) a situazioni che comportano difficoltà, rischio, revisione del proprio modo di vivere.
Il ruolo di infermieri/ostetriche quali educatori della salute nella sanità pubblica risulta essere:
Gli operatori sanitari, secondo le attuali evidenze, dovranno utilizzare interventi di educazione alla salute (EaS) basati su:
Ultimo ma non meno importante nell’ambito di un progetto di educazione alla salute è la “Compliance” (in italiano “adattabilità”) ovvero il grado di risposta del paziente rispetto al programma terapeutico.
Va tenuto conto, tuttavia, che sono complesse e molteplici le variabile che possono favorire o meno la collaborazione alle cure.
Il rifiuto delle terapie è una delle circostanze che crea numerose difficoltà nel lavoro degli operatori sanitari.
Se da un lato spesso questo rifiuto viene dai medici interpretato come il risultato di una opposizione consapevole e volontaria, dall’altro è necessario considerare che le ragioni possano celarsi nel mondo psichico profondo del paziente.
In ambito terapeutico ci sono alcune tipologie di tecniche di adattamento con le quali il professionista sanitario può aiutare il paziente a “far fronte con successo” all’evento malattia.
Riportiamo di seguito le più utilizzate:
“Individuale meccanismo di difesa nel confronti di un evento stressante che consiste o viene vissuto come una minaccia”
(Laurus e Folkman 1984)
E’ una strategia fondamentale per il raggiungimento del benessere e presuppone un’attivazione comportamentale dell’individuo, che lo renda protagonista della situazione e non soggetto passivo.
I meccanismi di “coping” vengono messi in atto dall’individuo quando questi si trova ad affrontare una situazione stressante. Più precisamente vengono messe in atto delle risposte di tipo emotivo, cognitivo e comportamentale la cui entità dipenderanno dalle caratteristiche della situazione stressante.
Tali risposte saranno influenzate da due tipi di fattori:
I. individuali, come il temperamento, la maturità psicologica e fisica raggiunta, i modelli di comportamento appresi.
II. legati allo stressor, quali l’intensità, la durata, la frequenza.
I modelli di coping
Modello focalizzato sul problema o sulle emozioni (detto anche Modello transazionale) (R. Lazarus e Folkman, 1984).
Questo modello ricomprende due sottotipi:
a) Coping focalizzato sul problema: include la ricerca attiva di informazioni, di soluzioni del problema e dei comportamenti volti a modificare le circostanze all’origine dello stress.
b) Coping focalizzato sull’emozione: finalizzato a regolare le emozioni attraverso la loro espressione e modulazione.
Modello del controllo primario e secondario. (Rothbaum, Weisz, Snyder, 1982).
In generale, questo modello mira a mantenere, aumentare o modificare il proprio controllo sull’ambiente o su di sé.
Anche questo modello ricomprende due sottotipi:
a) controllo primario: viene adottato un comportamento finalizzato al “problem solving” nonché la regolazione emotiva che gli permettono di influire direttamente sulle condizioni o gli eventi esterni;
b) controllo secondario: la finalità è quella di raggiungere il massimo adattamento emotivo alla situazione stressante, attraverso una rivalutazione cognitiva o addirittura l’accettazione dell’evento stressante.
Modello integrato. (Moos e Schaefer, 1993)
Secondo questo modello, per affrontare le situazioni ed i cambiamenti significativi, è necessaria l’interazione tra la realtà ambientale (di cui fanno parte gli eventi stressanti) e la realtà personale (di cui fanno parte le risorse personali e le caratteristiche individuali).
Modello psicosociale. (Doherenwend, 1978)
Anche in questo modello viene sottolineato il peso assunto dalle variabili individuali, ambientali e situazionali. A differenza dal precedente, tra i mediatori psicologici prende in considerazione anche quelli situazionali come per esempio il sostegno sociale ed economico.
Modello sociocontestuale. (Berg, Meegan, Deviney, 1998)
Sottolinea il valore positivo assunto dalla ricerca di supporto sociale nel fronteggia mento degli eventi stressanti. Ciò significa che un paziente può affidarsi passivamente agli altri oppure, viceversa, confrontarsi con essi per poter intervenire sul suo problema in modo più efficace.
Strategie di coping:
E’ la percezione che l’individuo ha della propria capacità di controllare gli eventi che lo riguardano; si suddivide in:
Consapevolezza di avere in sé gli strumenti e le abilità per occuparsi di sé.
Il paziente deve essere consapevole del fatto che la cura della sua malattia è, in buona parte, nelle sue stesse mani. Il paziente, più del medico, conosce la sua vita, le sue abitudini e la particolare forma che la malattia assume nel suo caso specifico. È insomma il massimo esperto del ‘suo’ diabete (Bob Anderson).
In psicologia è la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.
Riportiamo a seguire le tecniche di educazione alla salute più utilizzate:
Può essere definito come un processo di dialogo attraverso il quale il consulente aiuta il consultante a valutare i suoi comportamenti (problem analisys-help), a formulare strategie realistiche e personalizzate per la modifica dei comportamenti a rischio (decision making help) e a ridurre il disagio emotivo creato dal cambiamento (psycological-help)” (O.M.S., 1992).
Le tecniche di counseling, con le abilità comunicative e relazionali ad esso collegate, costituiscono un efficace metodo per i professionisti della salute che, nella relazione educativa e d’aiuto, hanno l’obiettivo di favorire in singoli individui e/o in gruppi, l’individuazione e l’assunzione responsabile e consapevole di comportamenti che sostengano la salute e di disincentivare la pratica di comportamenti dannosi o produttori di malessere. L’efficacia del counseling dipende: da una competente gestione degli aspetti corporei della comunicazione; dalla capacità di interpretare correttamente il non-verbale proprio e dell’interlocutore; dal riuscire a rendere aderente ai contenuti che si intendono trasmettere il proprio non-verbale.
Si tratta per lo più di “abilità cognitive, emotive e relazionali di base, che consentono alle persone di operare con competenza sia sul piano individuale che sociale”.
Ciò significa adottare uno spirito per cui si fanno emergere le “risorse” latenti in campo di Psicologia della Salute, rispetto al continuare a guardare alla salute esclusivamente coi parametri legati alla presenza delle varie “patologie”.
L’OMS ha proposto un diagramma contenente cinque aree, che racchiudono le definizioni sintetiche di Life Skills.
Tali definizioni possono essere così sintetizzate:
Decision making – Capacità di prendere delle decisioni
Competenza che aiuta ad affrontare in maniera costruttiva le decisioni nei vari momenti della vita. Capacità di elaborare attivamente il processo decisionale, valutando le differenti opzioni e le conseguenze delle possibili scelte. Può avere effetti positivi sul piano della salute, intesa nella sua accezione più ampia.
Problem solving – Capacità di risolvere i problemi
Questa capacità permette di affrontare i problemi della vita in modo costruttivo.
I problemi significativi che vengono lasciati irrisolti, possono, infatti, causare stress mentale e produrre tensioni fisiche.
Vediamo nel dettaglio le aree coinvolte:
Pensiero creativo
Agisce in modo sinergico rispetto alle due competenze citate sopra, mettendo in grado di esplorare le alternative possibili e le conseguenze che derivano dal fare e dal non fare determinate azioni. il pensiero creativo aiuta a guardare oltre le esperienze dirette e, anche se non viene identificato alcun problema e non ci sono decisioni da prendere, può aiutare a rispondere in maniera adattiva e flessibile alle situazioni della vita quotidiana.
Pensiero critico
E’ l’abilità ad analizzare le informazioni e le esperienze in maniera obiettiva. Può contribuire alla promozione della salute, aiutando a riconoscere e valutare i fattori che influenzano gli atteggiamenti ed i comportamenti, vedi per esempio i valori, le pressioni dei coetanei e l’influenza dei mass media.
Comunicazione efficace
Sapersi esprimere, sia sul piano verbale che non verbale, con modalità appropriate rispetto alla cultura e alle situazioni. Questo significa essere capaci di manifestare opinioni e desideri, ma anche bisogni e paure. Può voler dire, inoltre, essere capaci – in caso di necessità – di chiedere consiglio e aiuto.
Capacità di relazioni interpersonali
Aiuta a mettere in relazione ed interagire con gli altri in maniera positiva. Significa riuscire a creare e mantenere relazioni amichevoli che possono avere forte rilievo sul benessere mentale e sociale. Tale capacità può esprimersi sul piano delle relazioni con i membri della propria famiglia, favorendo il mantenimento di un importante fonte di sostegno sociale.
Autoconsapevolezza
Significa riconoscimento del proprio sé, del proprio carattere, delle proprie forse e debolezze, dei propri desideri e delle proprie insofferenze. Sviluppare l’autoconsapevolezza può aiutare a riconoscere quando si è stressati o quando ci si sente sotto pressione.
Empatia
E’ la capacità di immaginare come possa essere la vita per l’altra persona diversa da sé, anche in situazioni con le quali non si ha familiarità.
Provare empatia può aiutare a capire ed accettare i “diversi”. La capacità empatica può inoltre essere di sensibile aiuto per offrire sostegno alle persone che hanno bisogno di cure, di assistenza e di tolleranza, nonché sofferenti di disturbi mentali.
Gestione delle emozioni
Implica il riconoscimento delle emozioni in noi stessi e negli altri. La consapevolezza di quanto le emozioni influenzino il comportamento e la capacità di rispondere alle medesime in maniera appropriata. Emozioni intense come la rabbia, il dolore possono avere effetti negativi per la salute.
Gestione dello stress
Consiste nel riconoscere le fonti di stress nella vita quotidiana, nel comprendere come queste ci “tocchino da vicino”, nell’agire in modo da controllare i diversi livelli di stress.
Questo termine è visto come un termine “ombrello” sotto cui comprendere tutta una serie di approcci diversi. Dall’esperienza maturata nei paesi anglosassoni ed americani, la Peer education è “un sistema grazie al quale persone di età, status ed esperienza simili possono passarsi reciprocamente informazioni ed imparare l’una dall’altra.
Il fatto importante è che non c’è una relazione di potere come quella che c’è tra docente e studente, tra animatore e giovane, tra direttore ed operaio”.
In questa accezione, la peer education propone un’alternativa all’idea di autorevolezza ed è inoltre caratterizzata dall’enfasi posta su un tipo di apprendimento che sia contemporaneamente interattivo e partecipativo.
La peer education come “metodo educativo in base al quale alcuni membri di un gruppo vengono responsabilizzati, formati e reinseriti nel proprio gruppo di appartenenza per realizzare precise attività con i propri coetanei”.
Elementi caratterizzanti la peer education:
Ruolo del peer educator:
Il gruppo:
Indica le abilità cognitive e sociali che motivano gli individui e li rendono capaci di accedere, comprendere e utilizzare le informazioni in modo da promuovere e preservare la propria salute.
“…L’health litaracy è un insieme di competenze che migliorano la capacità delle persone di elaborare informazioni utili a vivere in modo più salutare. Tali competenze includono il saper leggere, scrivere, ascoltare, dialogare, calcolare e capacità di analisi critica così come di comunicazione e interazione”
[The Calgary Charter on Health Literacy, 2008]
La HL è essenziale per la Promozione della Salute in quanto si propone di fornire a tutte le persone gli strumenti utili per comprendere come mantenersi in salute.
E’ compito di chi promuove la salute fare in modo che il cittadino capisca e traduca in azioni le informazioni: è necessario assicurarsi che esse siano facilmente comprensibili all’utente.
E’ un modello multidimensionale dell’educazione/promozione della salute che si è sviluppato con il contributo di discipline diverse. Il modello parte dal presupposto che i molteplici fattori che agiscono sulla salute e sulla qualità della vita debbano essere valutati prima della progettazione dell’intervento: pertanto dirige l’attenzione sui risultati invece che sugli input (sul perché invece che sul come).
Il modello consta di 9 fasi; delle quali le prime 5 appartengono alla prima parte, il Precede, mentre le altre 4 alla seconda, il Proceed.
Una fase di grande importanza per l’infermiere/ostetrica è quella inerente la “Diagnosi educativa e organizzativa”. In questa fase vengono identificati i determinanti che devono essere modificati per iniziare a sostenere il processo di cambiamento comportamentale ed ambientale.
Nella fase sono identificate tre categorie di determinanti che influiscono sul comportamento individuale o collettivo:
Ogni comportamento può essere spiegato con il contributo complessivo dell’influenza di questi tre ordini di determinanti. Nessun comportamento o azione è riconducibile ad una sola causa, ma ogni determinante aumenta o riduce la probabilità che un’azione si verifichi, o che un comportamento venga assunto.
Ogni progetto che voglia influenzare un determinato comportamento deve considerare tutte e tre le posizioni dei determinanti. I criteri fondamentali che possono essere usati per la selezione sono l’importanza e la modificabilità.
Anche questo processo deve essere possibilmente realizzato non solo con scelte tecniche e metodologiche appropriate da parte dell’operatore, ma anche con modalità partecipative tra operatori che progettano, destinatari dell’intervento e promotori e sostenitori del progetto.
Morena Allovisio
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