Situazioni critiche agli ospedali di Pistoia e Pescia: la denuncia di una dottoressa

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a firma della dottoressa Carla Breschi.

La dottoressa Carla Breschi, consigliere comunale del Comune di Pistoia e direttore Sos Oncoematologa dell’ospedale San Jacopo di Pistoia (foto) e dell’ospedale S.S. Cosma e Damiano di Pescia ha inviato anche al C.R.E.S.T. (Comitato regionale emergenza sanità Toscana) il seguente comunicato sulle criticità della sanità pubblica nella provincia di Pistoia. Una situazione similare a quella di tanti altri presidi ospedalieri e territori della Toscana. Questa denuncia, dettagliata e circostanziata, arriva – uno dei pochi casi – da chi opera all’interno della sanità pubblica e vede ogni giorno le crescenti difficoltà dei pazienti e il costante taglio di reparti e personale.

COMUNICATO STAMPA

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Mi dispiace dovere intervenire in merito a un evento così doloroso, relativo alla morte della giovane donna, Capecchi Cristiana, sulle cui cause faranno chiarezza gli organi competenti. Ma lo avverto come dovere di consigliere comunale in primo luogo e di medico di lungo corso in secondo luogo, in quanto lo interpreto come l’evento sentinella di una situazione ad altissimo rischio clinico, che sempre è esistita ed è sempre andata peggiorando, e che ho pubblicamente denunciato già alcuni anni orsono.

Ieri mattina sono andata a controllare una mia paziente e sono scesa in quello che io chiamo il girone infernale del Pronto soccorso. Ben 25 pazienti su barella avevano pernottato nello stesso Pronto soccorso, assistiti, oltre che dal personale infermieristico e OS, ovviamente anche dai parenti, senza alcuna privacy, alcuna dignità.

“Dottoressa, ho visto l’inferno, non avrei mai creduto”, sono state le prime  parole della figlia della paziente, che poi ho rassicurato, dicendole che nel pomeriggio ci sarebbe stato posto nei piani alti (pseudo-purgatorio o pseudo-paradiso), e la loro attesa del posto letto sarebbe terminata. Contemporaneamente ben 31 pazienti da visitare e altri 15 portati negli ambulatori specialistici per i percorsi cosiddetti fast track, che secondo i progetti del direttore generale dovrebbero snellire le procedure, quando i percorsi sono già oltremodo saturi.

In questo scenario pseudo-apocalittico operano medici d’urgenza, medici radiologi (in netto deficit di organico tra Pistoia e Pescia), infermieri e operatori sanitari con una velocità e professionalità impressionante. Ma mi chiedo, io che ho lavorato per anni al Pronto soccorso: come fanno a non impazzire, a mantenere sempre la calma necessaria per rivalutare le persone, a sfuggire a quel bombardamento psicologico dei direttori, che spingono a dimettere, dimettere, dimettere, e la cui unica finalità è il mero risparmio economico?

Nel 2018 più di 60mila accessi al Pronto soccorso di Pistoia. E non mi illudo che in altre realtà sia molto diverso, ma vorrei un confronto con le situazioni fiorentine o limitrofe, dato che a Pistoia siamo e rimaniamo sempre penalizzati per numero di dipendenti, carriera e retribuzioni. Addirittura anche i centralinisti dell’ospedale denunciano una situazione insostenibile!

Ma analizziamo perché la situazione sta peggiorando:

– In pratica è stato annientato il Pronto soccorso di San Marcello, e ora il direttore Morello dice che è stato un bene, perché non utilizzato; certo è  che le persone vengono a Pistoia quando sanno che non troveranno un Pronto soccorso adeguato a San Marcello! È un giro vizioso che sembra creato ad arte.

– È stato depotenziato l’ospedale di Pescia, e ancora tutte le urgenze o pseudo-urgenze dei bambini della Val di Nievole vengono qua.

– Non è stato ancora diviso il polo medico dal polo traumatologico.

– La burocrazia eccessiva ci sta uccidendo (questo in ogni ambito medico).

– Chi ha una richiesta di urgenza radiologica (per esempio, per trauma) deve accedere ad un fast track che lo può mandare anche a Pescia, Firenze etc., ed è ovvio che il paziente, specie se anziano, acceda al Pronto soccorso.

E per finire il territorio, dove c’è ancora il deserto, dove non si sa ancora che ruolo abbia la Società della Salute, dove si predica l’infermiere di famiglia (speriamo bene…), dove la Casa della Salute a Quarrata chiude alle 19, dove i medici di base sono vessati in continuazione  da pratiche burocratiche che non risolvono i problemi, ma fanno perdere tempo prezioso e non vengono adeguatamente supportati da personale infermieristico, per lo più occupato in attività che quasi tutti i colleghi medici di base definiscono pressoché inutili (vedi chronic care model).

E ripeto l’annosa domanda: chi prende decisioni sulla sanità ha mai lavorato nella sanità di trincea (mi riferisco a tutta la sanità degli ospedali periferici e anche al medico di medicina generale)? E sa che non è un esame che fa fare diagnosi, bensì l’osservazione clinica? È verso queste persone, i cosiddetti decisori, che bisognerebbe puntare il dito, non verso i medici di prima linea. E il sindaco Tomasi dirà o farà qualcosa?

Redazione Nurse Times

 

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