Siria e la sua rosa malata: prove tecniche di nursing moderno

Vi proponiamo una nuova “pillola di storia” a cura del nostro collaboratore Francesco Falli.

Siria era nata insieme al secolo, e infatti in quella primavera del 1982 era in procinto di festeggiare il suo ottantaduesimo compleanno. Dopo una vita di fatica contadina, ormai la sua sola attività fuori casa era limitata alla gestione delle sue belle rose e fu proprio una di queste a portarla, dalla sua casetta nelle campagne della Val di Magra, alla rianimazione dell’ospedale della Spezia. Fu infatti una spina di rosa che ferì un suo dito, e nell’organismo di Siria si sviluppò, da quella ferita, una infezione tetanica.

Siria arrivò dunque in rianimazione con questo sospetto di tetano, come diagnosi, confermata in fretta dagli esami di laboratorio che dimostrarono la presenza delle tossine di Clostridium tetani. In quel tempo, l’Infermieristica in quanto scienza era piuttosto acerba nel nostro Paese: oggi conosciamo sicuramente una stagione diversa, sicuramente più conflittuale ma anche assai più moderna, e con zone di affermazione professionale sicuramente molto più sviluppate, per quanto non omogenee nel territorio nazionale.

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Ma in quegli anni, la attività assistenziale era saldamente “per compiti” ed allo stesso tempo organizzata prevalentemente dagli stessi primari delle degenze ospedaliere (oggi: direttori di struttura). In tempi sicuramente meno difficili per quanto riguardava le dotazioni organiche, il rapporto diretto fra i primari e gli uffici personale dell’Ente ospedaliero (siamo infatti in una fase che precede ancora la nascita delle Unità Sanitarie Locali, prodromiche al processo di aziendalizzazione) permetteva in alcune situazioni dotazioni molto buone e livelli di assistenza molto validi sul piano quantitativo.

La rianimazione spezzina era diretta, sin dalla sua nascita, da uno dei pionieri italiani delle discipline di anestesie e rianimazione, il professor Enrico Torquato Cavallini, spezzino di scuola senese: fra le altre caratteristiche, quel reparto era uno dei pochissimi Centri Antiveleni italiani (giungevano chiamate da tutta Italia per consulenze su avvelenamenti consueti, come i funghi, o assolutamente bizzarri, come la ingestione accidentale di un liquido ‘’per allontanare i tafani dai cavalli da corsa’’) e uno dei primi Centri di terapia antalgica. Un concetto così nuovo nel Paese che la tipografia che stampava le cartelle cliniche del reparto, ritenendolo un errore, di propria iniziativa lo ribattezzò  così: ‘’servizio di anestesia, rianimazione e terapia antologica’’ !

Fatte queste premesse, il professor Cavallini era, poiché professionista capace, particolarmente attento alla qualità e alla quantità dei suoi infermieri: mentre oggi gli stessi valori (trasferiti in molte realtà italiane alle linee di gestione della autonomia professionale) cozzano contro il budget, i bilanci, le varie limitazioni e difficoltà molto note, all’epoca era certamente più facile ottenere quanto richiesto.

In pochi anni, anche a livello di struttura, quel reparto era sicuramente entrato nella modernità non solo per le dotazioni, ma anche per particolari attività assistenziali che rendevano speciale il lavoro in quella realtà. Ad esempio, esisteva un accordo pratico che vedeva uscire dal reparto di rianimazione, verso le altre degenze dell’ospedale, il rianimatore di guardia con un infermiere per le manovre di rianimazione in caso di emergenza: i due si trascinavano dietro zaini e scatole pieni di ogni possibile necessità, perché erano ancora da sviluppare i carrelli dell’emergenza e i corsi aziendali di BLSD.

Ma tornando alla nostra protagonista, la anziana signora Siria ottenne subito il necessario trattamento specifico per le infezioni tetaniche, non solo composto da benzodiazepine e barbiturici ma anche da quell’isolamento che la metteva al riparo da sbalzi di luminosità, e dai rumori improvvisi, che avrebbero potuto scatenare le reazioni tonico cloniche tipiche della sindrome tetanica, fino all’opistotono diffuso per contrazione dei muscoli del tronco.

L’isolamento avveniva in un apposito posto letto, posizionato subito al di fuori della degenza intensiva, che prevedeva cinque posti letto attrezzati; era naturalmente attrezzato anche il posto letto di Siria con monitor multiparametrico, con un respiratore automatico e con le prime terribili pompe infusive che andavano in allarme solo guardandole troppo; la conseguenza dell’apertura dell’isolamento era quella inevitabile che, per ogni turno di servizio, un infermiere si staccava dal gruppo (composto in totale da cinque infermieri “professionali”, come si diceva in quel tempo secondo le definizioni d’epoca) e si collocava in questa stanza con l’ospite di turno.

Così, probabilmente perché ero  il più giovane del mio gruppo, o perché molto appassionato della recente assegnazione a quella degenza, nel mio turno venni individuato come ‘’ l’infermiere di Siria’’ e restai con lei in isolamento per tutta la sua degenza, naturalmente durante le mie ore di attività. Sperimentai allora con un certo anticipo sia il criterio di una assistenza personalizzata e dedicata, sia quello delle conseguenze positive degli adeguati livelli di assistenza (dimostrate ampiamente da RN4CAST in tempi molto più vicini a quelli contemporanei).

Va infatti ricordato ancora più in dettaglio che in quel tempo le attribuzioni fra il personale dello stesso turno di una degenza intensiva (ne avrei avuta poi conferma nel mio periodo di delegato regionale dell’ANIARTI) non riguardavano tanto l’affidamento di “gruppi di malati”, quanto soprattutto le attività: quindi c’era qualcuno che, nel turno di lavoro, si dedicava alla intera terapia infusiva; altri che si occupavano dei parametri; altri delle medicazioni; e qualcuno , infine, della documentazione, già piuttosto impegnativa a quel tempo, con il primario già citato che spesso ricavava le informazioni dei ricoverati proprio dai quaderni delle consegne e dalle diarie del personale infermieristico, che riteneva sempre molto affidabili.

Solo più avanti avrebbe preso campo, anche in quella degenza intensiva, il modello assistenziale in base al quale all’infermiere X era affidata la gestione dei ricoverati ai letti 1 e 2, eccetera. Siria superò la sua malattia passando qualche brutto quarto d’ora: sicuramente la scelta di una precoce tracheotomia fu vincente, e fu importante la applicazione della assistenza personalizzata, che proprio durante un mio turno notturno si dimostrò importantissima (al tempo, assente la Legge 161/14, la notte era effettuata poche ore dopo la conclusione del turno del mattino, secondo un modello di turnistica detto “in quarta”).

Nonostante una luce bassa nella stanza (per prevenire eventuali stimoli agli spasmi) e nonostante Siria si trovasse già in respiro spontaneo in una fase di accertato miglioramento, notai un certo disagio e rumore nel respiro; il monitor evidenziava una rapida crescita dei battiti al minuto e un calo della saturazione d’ossigeno. C’era un “tappo”, un accumulo di secrezioni in trachea che riuscii a rimuovere con qualche difficoltà con la manovra di aspirazione e naturalmente, quando si creavano simili circostanze, ero sempre aiutato da uno dei colleghi della degenza , che come già detto si trovava a fianco di questa stanza particolare.

Siria in pratica venne assistita per tutta la degenza (quasi un mese) sempre dagli stessi quattro infermieri, uno per ognuno dei turni programmati nel corso delle 24 ore; naturalmente tutti gli altri in caso di bisogno c’erano, e ovviamente il lavoro fu più che mai un lavoro di squadra, un concetto che in quel tempo tutti noi avevamo molto a cuore, vissuto e difeso come valore e appartenenza.

I risultati concreti di livelli di assistenza così “particolari”, non ipotizzabili naturalmente per ogni degente di corsie tradizionali, sono la conferma pratica del valore dell’azione infermieristica, poi ripresa da molte ricerche internazionali (citerei -fra le tante- i contributi di Aiken e Sloane per RN4CAST) che si sono succedute nel tempo, nella trasformazione validata e moderna della disciplina infermieristica.

Il buon senso, e la capacità organizzativa di azione anche con risorse limitate (quella degenza di rianimazione era comunque con ottimi rapporti degenti/infermieri) sono stati spesso patrimonio di chi ci ha preceduto: in una lontana intervista ad un infermiere spezzino molto anziano, attivo nelle sale operatorie di chirurgia degli Anni Sessanta del XX secolo, abbiamo appreso che era segnata sulla cute, con la tintura di iodio, la zona dell’intervento già in corsia di degenza, nelle ore immediatamente precedenti l’intervento (in particolare per le ernie inguinali; le varici, interventi in genere sugli arti): non esisteva neppure il concetto di ‘’rischio clinico’’, né le Raccomandazioni ministeriali, ma il concetto di ‘’errore di lato’’ e la conseguente necessità di prevenire questo rischio erano comunque sviluppati.

Siria, quindi, tornò alle sue rose: al momento dei saluti lei mi baciò e mi disse grazie, con quegli occhietti da vecchietta dolcissima, e io le ricordai di fare attenzione con le rose; lei con inevitabile saggezza mi disse che non era stata certamente colpa “della mia rosa malata, ma solo colpa mia, che non sono stata proprio attenta, eh! Continuo a non usare gli occhiali, e vedi che brava che son stata”.

Francesco Falli

Redazione Nurse Times

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