Sclerosi multipla: dal recettore GPR17 una spia precoce di danno infiammatorio e di demielinizzazione

Si tratta di un filone di ricerca su cui il gruppo di ricerca della professoressa Maria Pia Abbracchio è impegnato da diversi anni.

Uno studio condotto dall’Università degli Studi di Milano, con il supporto Aism e la sua Fondazione italiana sclerosi multipla, e pubblicato sulla rivista International Journal of Molecular Sciences, evidenzia l’importanza del recettore GPR17 come marcatore di danno precoce anche nelle lesioni cerebrali umane. L’accumulo di GPR17 in aree cerebrali apparentemente sane, ancora non interessate dalla malattia, offre opportunità farmacologiche nuove e rende possibile pensare allo sviluppo di un “tracciante” che rilevi l’accumulo precoce del recettore nelle aree cerebrali ancora intatte.

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La sclerosi multipla è una malattia neurodegenerativa cronica di origine autoimmune che colpisce prevalentemente i giovani adulti e in misura maggiore le donne, con sintomi variabili, tra cui stanchezza, dolore o spasmi, difficoltà motorie, perdita della sensibilità agli arti e disturbi visivi. Questi sintomi, spesso molto invalidanti, sono legati alla presenza di lesioni cerebrali o spinali in cui si verificano fenomeni infiammatori che portano alla progressiva perdita di mielina, la struttura isolante che permette ai neuroni di trasmettere impulsi nervosi in modo veloce ed efficace.

Nel tentativo di riparare le lesioni, alcune cellule progenitrici neuronali, chiamate precursori degli oligodendrociti (OPC), proliferano e differenziano, al fine di generare nuovi oligodendrociti, le cellule cioè in grado di produrre mielina, ma spesso falliscono a causa dell’ambiente infiammatorio locale. Da diversi anni il gruppo di ricerca diretto dalla professossa Maria Pia Abbracchio ha identificato GPR17, un recettore normalmente presente sulla superficie degli OPC, come uno dei possibili fattori che, se sregolati dalla malattia, contribuiscono al fallimento della rimielinizzazione.

«Avevamo già dimostrato, in diversi modelli animali di malattia, che OPC immaturi esprimenti il recettore si accumulano ai bordi delle lesioni demielinizzanti – spiega il dottor Davide Lecca, autore senior dello studio –. Riteniamo che questo accumulo rifletta il tentativo degli OPC di riparare la lesione. Tuttavia, pur essendo cruciale per attivare il processo di maturazione, quando GPR17 rimane troppo a lungo nella membrana degli OPC senza essere degradato, il processo di maturazione si blocca, inficiando la riparazione della lesione»

.

Nello studio, per comprendere se quanto osservato nei modelli animali potesse avvenire anche nell’uomo, i ricercatori hanno caratterizzato campioni cerebrali post-mortem di persone con sclerosi multipla, forniti dalla MS Society Tissue Bank dell’Imperial College di Londra, e hanno analizzato la distribuzione di GPR17 in tutte le lesioni presenti in relazione al loro grado di attività.

«Pur non avendo osservato differenze significative tra lesioni attive e inattive, abbiamo notato che in alcune aree del cervello apparentemente sane, prive di lesioni, ma caratterizzate da un principio di infiammazione, il numero degli OPC esprimenti GPR17 era maggiore rispetto a tutte le altre aree», spiega il dottor Jacopo Angelini, uno dei primi autori dello studio. Questo suggerisce che, anche nella sclerosi multipla umana, il recettore possa comportarsi da “sensore” di danno, indicando in modo precoce l’insorgenza delle lesioni ancora prima che queste si formino.

«Nonostante negli ultimi anni siano stati fatti enormi passi in avanti nella terapia immunomodulante della sclerosi multipla, non esiste ad oggi una cura definitiva, e soprattutto non esistono trattamenti efficaci nel promuovere la riparazione del danno alla mielina», comunica il dottor Davide Marangon, altro primo autore della ricerca.

«Questa nuova scoperta valida i nostri precedenti dati su GPR17 nei tessuti di pazienti affetti da sclerosi multipla. L’accumulo di GPR17 in aree cerebrali apparentemente sane, ancora non interessate dalla malattia, offre opportunità farmacologiche finora irrealizzabili – conclude Davide Lecca -. È infatti possibile pensare allo sviluppo di un ‘tracciante’ che rilevi l’accumulo precoce del recettore nelle aree cerebrali ancora intatte, presupposto fondamentale per interventi farmacologici tempestivi che possano rafforzare le capacità riparative innate degli OPC, prima che queste vengano inficiate dall’eccessiva infiammazione locale».

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