Lazio

Sanità Low-Cost: A.d.i. ad alta complessità affidata agli O.s.s.

NurseTimes propone una speciale intervista ad una mamma, che diventa una preziosa testimonianza sul livello di assistenza domiciliare offerto a pazienti ad elevata complessità assistenziale in alcuni territori italiani,con tutte le criticità evidenziate che rende il nostro Sistema Sanitario Nazionale diviso in 21 diverse realtà regionali.

Dall’intervista traspare tutto l’amore della signora Nuccia, per il figlio Davide, ragazzo sfortunato di Roma, che pone alcuni quesiti importanti, richiedendo esclusivamente assistenza di infermieri professionisti per il proprio ragazzo, purtroppo dipendente da presidi tecnologici avanzati ed assistito a domicilio.

Chi è Davide oggi?

Chi è? Bella domanda… Un bambino? Un neonato? Forse sì. Un neonato di 32 anni. Che ha bisogno di essere accudito 24 ore su 24. Non c’è niente che possa fare da solo. Niente. A differenza di un neonato, però, non lo si può prendere in braccio. Perché ha il corpo e la fisionomia di un uomo. A differenza di un neonato poi non può piangere, non può strillare, non può effettuare nessuna richiesta. Il neonato ha il vagito, il pianto per esprimersi e dare dei segnali… Lui che cos’ha? Cosa gli hanno lasciato? Nulla… proprio nulla.

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Cosa è successo a Davide?

Non lo so. L’unica cosa che so per certo è che un pomeriggio me lo sono ritrovato in terapia intensiva, intubato e in coma farmacologico. Eh, quanto può essere brutta la rianimazione per i pazienti e per i loro familiari… Davide è un ragazzo con la sclerosi multipla e fino ad un paio di anni fa viveva il decorso della sua malattia senza particolari complicanze. Ragazzo coraggioso e brillante, credeva molto nella scienza e ovunque ci fosse una sperimentazione in favore della sua malattia lui si candidava. Per ultimo ebbe modo di provare l’infusione di cellule staminali.

Davide nel 2014.

In rianimazione, dove era giunto in seguito ad uno stato di male epilettico dall’eziologia poco chiara, ha avuto diverse ed importanti complicanze che lo hanno portato ad essere molto debilitato, irriconoscibile e definito “terminale” dai medici. Distrutta dal dolore, decido di portarlo a morire a casa. Le conseguenze sono state una specie di sottile ricatto da parte dell’ospedale, un qualcosa di “detto e non detto” ma di indispensabile per poterlo portare a casa. In pratica era necessario effettuare la tracheostomia e la gastrostomia per una dimissione protetta a domicilio. Altrimenti niente. Pur di portarlo a casa firmo e accetto, non sapendo che la conseguenza sarebbe stata la sua stabilizzazione. E che sarebbe diventato una specie di Robot.

Un Robot?

Davide oggi.

Non essendo io né medico né infermiere e non avendo mai messo piede in una rianimazione fino a quel momento, non ero a conoscenza che l’uomo, sostituendosi a dio, avesse inventato un sistema di macchine e di tubi in grado di far rimanere sospese tra la vita e la morte le persone. Macchine e tubi che me lo fanno sembrare un robot. Tutto ciò mi è sembrato sin da subito un grande accanimento terapeutico. Come può accanirsi la medicina… Come si può tagliare in questo modo le ali a un trentenne?! Quando mi sono vista Davide in queste condizioni ho dato piena ragione a Peppino Englaro quando diceva:

Voler morire in pace vuol dire amare la vita. Perché ci sono condizioni peggiori della morte e sono quelle create dalla medicina: condizioni estranee al nostro modo di concepire la vita.

Fino a due anni fa… Come era la vita di Davide?

Davide amava la vita, la viveva con l’intensità della sua giovane età, tra viaggi, bevute con gli amici, e il suo lavoro. Conciliava il tutto con grande genio e correttezza. Amava gli sport estremi, che praticava con regolarità nonostante le mie paure e nonostante le sue condizioni fisiche. Almeno fino a quando la malattia e la sua incoscienza glielo hanno permesso.

Davide è portatore di tracheostomia, ventilato per 24 ore al giorno e gastromizzato. Quando è stato dimesso a domicilio dall’ospedale… Cosa si aspettava dall’alta intensità assistenziale?

Sono riuscita a portarlo a casa dopo un anno e otto giorni dal primo ricovero. Ho accettato per disperazione 12 ore al giorno di assistenza, 6 infermieristiche e 6 di operatori OSS; non sapendo a cosa andavo incontro. Ho dovuto trasformare quella che era la camera di Davide in una sorta di sala di rianimazione con vari macchinari (respiratori meccanici, aspiratori chirurgici, contenitori criogenici per l’ossigeno, un letto che più che un letto assomiglia ad un comodo tavolo da lavoro, saturimetri, ecc) e con tutto quanto a norma secondo le direttive specifiche della ASL, mentre il salone mi si riempiva sempre di più di scatoloni stracolmi di materiale di cui non conoscevo neanche l’esistenza. E poi gli operatori. Dalle 16 alle 22 Infermieri, dalle 24 alle 06 del mattino gli OSS. Bella parola l’OSS… Chi sono costoro?

Io non sapevo che un paziente complesso come mio figlio, con la tracheostomia, la PEG, il ventilatore meccanico, il bisogno di aspirazioni tracheobronchiali e tante altre operazioni complesse da effettuare potesse essere assistito senza problemi da ex muratori, badanti e camerieri che effettuano un corso di pochi mesi e si scoprono sanitari. Io non voglio attaccare nessuno, per carità, nessun mestiere e nessuna figura professionale. Ma… Come è possibile che gli infermieri vengano sostituiti con gli OSS con così tanta facilità? Cosa c’entra con questi ultimi l’alta intensità assistenziale? Cosa c’entra con loro la gestione di vie aeree avanzate, delle urgenze e delle emergenze se non sono affiancati da un professionista come un medico o un infermiere? Per quanto mi sforzi… Non capisco. Una cosa è certa: gli infermieri non sono OSS! E di conseguenza gli OSS non sono infermieri.

Nell’equipe multidisciplinare che assiste Davide ci sono alcuni infermieri. Cosa pensa della categoria infermieristica e dell’estrema precarietà cui molti colleghi sono costretti da diversi anni a questa parte?

L’infermiere preparato e capace, nel caso di Davide, è colui che gli può salvare la vita in un momento di crisi. La mia fortuna è stata quella di trovare, dopo un’accorata ricerca, infermieri preparati all’alta intensità assistenziale. Tanto è vero che quando ci sono loro, dalle 16:00 alle 22:00, sono serena. Al contrario, da mezzanotte alle 6:00 di mattina, ne risente molto il mio sonno poiché non fidandomi delle competenze degli altri operatori, mi sono munita di una piccola telecamera (dove viene inquadrato solo mio figlio) per controllare se, quante volte e come vengono effettuate aspirazioni tracheobronchiali. Procedura che dovrebbe essere attuata solo da professionisti e che, se messa in atto in modo non corretto, può causare danni, crisi respiratorie e infezioni importanti. 

Davide oggi, in camera sua. Con sua madre.

Parlando della precarietà… E’ una vergogna, in una cosiddetta nazione civile, che una professione importante come quella di infermiere, su cui dovrebbe reggersi il nostro Servizio Sanitario, sia così bistrattata e sottopagata con la scusa dei tagli alla sanità. E lasciando così troppo spesso i pazienti nelle mani di badanti ed OSS, che con tutto il rispetto non possono avere la preparazione teorico/pratica degli infermieri. Per fare l’infermiere da parecchi anni ormai ci vuole una laurea che significa anni di università, tasse, esami, valutazioni, studio, tirocini (non retribuiti) ed eventuali master. Sono purtroppo a conoscenza di altre realtà (cliniche, case di cura, case di riposo) che una volta assumevano personale infermieristico che ora hanno nel proprio organico solo OSS perché costano meno. Per me ciò è uno scandalo… Come si può parlare di qualità dell’assistenza?

Cosa teme per il futuro di suo figlio?

La paura costante è quella di non svegliarmi una mattina. E di lasciare così Davide in balia di gente estranea che sicuramente lo trasferirà in qualche ospizio travestito da clinica riabilitativa. Io devo essere viva per mio figlio; anche se oramai il mio mondo si è fermato a causa di ciò che gli è successo, io ancora non posso proprio scendere. Devo continuare a sopravvivere.

Cosa spera per il futuro di suo figlio?

Considerando che non credo nei miracoli, io spero e mi auguro che una notte si addormenti serenamente e non si svegli più. Una morte indolore, insomma. Ma fino a quel momento, io combatterò affinché la dignità di mio figlio sia rispettata e perché possa ottenere l’assistenza per 24 ore, da parte di infermieri professionisti, così come la sua complessa condizione imporrebbe. Pretendo giustizia e dignità per Davide.

Si sente di dire qualcosa ai tanti infermieri italiani che seguono Nurse Times?

Vorrei ringraziare tutti voi, cari “angeli custodi infermieristici”, per la vostra professionalità e attenzione/cura nei confronti degli ammalati tutti; poiché il vostro lavoro, svolto con cuore, amore e professionalità, porta a un’intesa speciale tra paziente e infermiere e al raggiungimento di obiettivi molto importanti.

 

Alessio Biondino

 

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