Rigenerare un cuore colpito da infarto? Si può fare

Ottimi riscontri dalla sperimentazione effettuata sui suini. Ma serve cautela: non è certo che i risultati trovino conferma nell’uomo.

Dai pesci alle salamandre, dalla scimmia al maiale. Una “scalata” evoluzionistica che, se proseguirà per il verso giusto, punta ad arrivare all’uomo. Torna ad accendersi la speranza di rigenerare le cellule di un cuore colpito da un infarto. Questo è quanto dimostrato da un team di ricercatori italiani in un esperimento condotto sui suini. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature, hanno rinfocolato la fiducia della comunità scientifica. L’opportunità, se troverà conferma sull’uomo, potrebbe permettere di ripristinare la struttura e la funzione del muscolo e ridurre così la portata dello scompenso.

Ma la cautela è doverosa. Come “rigenerare” il cuore? I ricercatori del Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologie (Icgeb) di Trieste e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa hanno osservato che una piccola molecola di Rna somministrata in ammali colpiti da un infarto è in grado di rigenerare le cellule del cuore. La scoperta è notevole. La rigenerazione del tessuto cardiaco colpito da infarto – 140mila i nuovi casi annui in Italia, con una mortalità che varia in base alla tempestività dell’intervento e all’esperienza del centro, e comunque compresa tra il 2 e il 6 percento – rappresenta l’obiettivo più ambizioso dei cardiologi. Dopo aver determinato una svolta, facendo crollare la mortalità ricorrendo all’angioplastica, gli specialisti hanno alzato l’asticella. Scopo: migliorare la qualità della vita dei pazienti sopravvissuti a un evento ischemico.

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Leggendo i risultati dell’ultima ricerca, il traguardo è stato raggiunto. Pure nei suini, con i risultati che vanno ad aggiungersi a quelli raccolti in alcuni esemplari di fauna marina, negli anfibi e nelle scimmie. Il microRna-199,

iniettato direttamente nel muscolo cardiaco all’interno di un piccolo virus (non in grado di determinare un’infezione nell’ospite), ha stimolato la rigenerazione dei cardiociti.

«Dopo tanti tentativi infruttuosi, abbiamo compreso come sia possibile riparare il cuore in un animale di grossa taglia», afferma Mauro Giacca, direttore generale dell’Icgeb. La differenza rispetto al passato non è di poco conto. Il cuore del maiale è molto simile a quello umano dal punto di vista delle proprietà anatomiche e fisiologiche. Ciò potrebbe dunque facilitare il trasferimento di questi risultati ai pazienti. Tecnicamente, però, ci vorranno almeno cinque anni prima di iniziare una sperimentazione sull’uomo, che dovrebbe partire al King’s College di Londra.

«Dobbiamo imparare a somministrare l’Rna come se fosse un farmaco sintetico – prosegue Giacca –. Sappiamo che è possibile, avendo avuto riscontri negli studi condotti sui topi, ma dovremo controllare in maniera precisa il dosaggio per evitare effetti indesiderati nel tempo». Insomma, tante speranze, ma anche tanta prudenza.

Queste le sensazioni di Ciro Indolfi, presidente della Società italiana di cardiologia, nonché direttore dell’unità operativa complessa di Cardiologia del Policlinico universitario di Catanzaro: «Dopo un episodio ischemico, le cellule che muoiono vengono rimpiazzate da un tessuto cicatriziale che non si contrae. Questo da il via a una cardiopatia che, nel tempo, tende a degenerare. Ecco perché rigenerare il muscolo cardiaco è l’ultima frontiera della lotta all’infarto del miocardio. La qualità dello studio è fuori discussione, ma serve cautela. Alle spalle abbiamo infatti diversi risultati ottenuti iniettando le cellule staminali in modelli animali, che poi però non hanno trovato conferma sull’uomo».

Redazione Nurse Times

Fonte: La Stampa

 

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