Uno di questi casi è stato recentemente esaminato dalla Cassazione Penale, che il 12 ottobre 2022 ha emesso una sentenza che getta luce su un tragico episodio riguardante un errore fatale nella somministrazione di farmaci a una paziente affetta da linfoma di Hodgkin.
La vicenda inizia con il secondo ciclo di chemioterapia di una paziente, quando, per un tragico errore, le viene somministrata una dose di farmaco dieci volte superiore a quella prevista. Questo tragico incidente è stato causato da un’annotazione erronea presente nella cartella clinica del primo ciclo di chemioterapia, che è rimasta non rilevata fino alla tragedia che ha portato alla morte della paziente.
Tribunale e Corte d’Appello avevano precedentemente condannato medici e infermieri per omicidio colposo, ma la sentenza era stata sottoposta alla Cassazione per una revisione.
Nella prima sentenza della Cassazione, datata 13 maggio 2019, l’infermiera coinvolta è stata assolta. La Corte ha ritenuto che la sua condotta fosse in linea con i suoi compiti e responsabilità professionali, avendo cercato il confronto con il medico.
Tuttavia, l’aspetto cruciale era se esistessero norme procedurali che obbligassero l’infermiera a interagire solo con medici specificamente qualificati. In questo caso, l’infermiera aveva cercato il supporto di un medico che, sebbene non avesse una qualifica formale, era riconosciuto come un punto di riferimento nel reparto. La Corte ha concluso che non esistevano norme specifiche che proibivano questa pratica.
Pertanto, la condotta dell’infermiera è stata giudicata non punibile.
La Cassazione ha confermato la responsabilità del medico specializzando. Ha sottolineato che il medico specializzando è tenuto a rispettare le direttive e il controllo del medico tutore. La sua responsabilità dipende dallo stadio del suo percorso formativo e deve rifiutare incarichi che non si sente in grado di gestire.
La sentenza della Cassazione ha evidenziato le gravi carenze organizzative all’interno del reparto ospedaliero e l’assenza di coordinamento, controllo e guida da parte del primario. Questi problemi hanno portato a una serie di errori che hanno causato la morte della paziente.
La Cassazione ha stabilito che il primario era responsabile per la cooperazione nel delitto colposo. Avrebbe dovuto garantire un controllo accurato del reparto, specialmente considerando che la paziente era affidata a giovani medici inesperti.
In conclusione, la Cassazione ha confermato l’assoluzione dell’infermiera, dichiarato inammissibili i ricorsi dello specializzando e del primario e annullato senza rinvio la decisione concernente il medico oncologo, tranne per quanto riguarda l’interdizione dalla professione medica. Questo caso mette in evidenza l’importanza di una gestione accurata delle pratiche mediche e dell’organizzazione in ambito ospedaliero per garantire la sicurezza dei pazienti.
Redazione NurseTimes
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