Rapporto 2020 finanza pubblica: forte calo dei medici in Italia

Il fenomeno è evidenziato dal documento della Corte dei Conti.

Dal Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica, realizzato dalla Corte dei Conti, emerge come negli ultimi due anni, col turnover nelle Regioni in Piano di rientro e con le misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), il personale a tempo indeterminato del Ssn sia fortemente diminuito. Al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25mila lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008). Tra il 2012 e il 2017 il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, aziende universitarie e Irccs pubblici si è ridotto di poco meno di 27mila unità (-4%).

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Nello stesso periodo il ricorso a personale flessibile, in crescita di 11.500 unità, ha compensato questo calo solo in parte. La riduzione del personale ha assunto caratteristiche e dimensioni diverse tra Regioni in Piano di rientro e non. Nelle prime il personale a tempo indeterminato si è ridotto di oltre 16mla unità, ma con differenze accentuate tra regioni: riduzioni particolarmente forti (tra il 9 e il 15 per cento) nel Molise, nel Lazio e in Campania, a cui sono riferibili riduzioni. Solo poco inferiori quelle di Calabria e Sicilia, mentre Abruzzo e Puglia hanno contenuto di molto le riduzioni, soprattutto considerando gli incrementi del personale a tempo determinato. Nelle Regioni non in Piano la flessione è stata molto più contenuta (-2,4%).

Nel periodo il personale medico si è ridotto di oltre 3.100 unità (-2,9 per cento). Una variazione in parte compensata da un aumento di 2.400 unità a tempo determinato. La flessione dei medici si è tuttavia concentrata nelle Regioni in Piano: 2.867 unità riconducibili soprattutto alle tre Regioni maggiori, cui sono riferibili riduzioni nelle dotazioni per oltre 2.800 unità. Nelle Regioni non in Piano il numero di medici si è ridotto di sole 242 unità, più che compensate a livello complessivo dalla crescita delle posizioni a tempo determinato (+1.220).

In definitiva, l’osservazione dei dati consente di guardare al fenomeno della riduzione del personale con qualche ulteriore cautela: pur non sottovalutando il problema che può rappresentare in alcune aree, almeno nell’ultimo quinquennio la contrazione nella maggioranza delle Regioni è stata limitata. Alcuni dati di quadro generale possono consentire di mettere in luce aspetti controversi, cui hanno contribuito gli interventi volti a conciliare esigenze di bilancio e la tutela delle legittime esigenze degli operatori, ma che hanno finito per alimentare anche le distorsioni che oggi ci troviamo ad affrontare.

Per numero di medici il nostro Paese è in cima alle graduatorie europee: operano in Italia 3,9 i medici per mille abitanti, contro i 4,1 in Germania, i 3,1 in Francia e i 3,7 in Spagna. In Italia, per questa categoria, si conferma (anche grazie al blocco del turn-over) un incremento dell’età media del personale: ha più di 55 anni oltre il 50% degli addetti, la quota più elevata in Europa, superiore di oltre 16 punti alla media Ocse. Si tratta in prevalenza di medici specialisti.

Negli ultimi anni, inoltre, i vincoli posti alle assunzioni in sanità, pur resi necessari dal forte squilibrio dei conti pubblici del settore, hanno aumentato le difficoltà di trovare uno sbocco stabile a fine specializzazione e un trattamento economico adeguato. Ciò è alla base della fuga dal Paese di un rilevante numero di soggetti: negli ultimi otto anni, secondo i dati Ocse, sono oltre 9mila i medici formatisi in Italia che sono andati a lavorare all’estero.

Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia sono i mercati che più degli altri hanno rappresentato una soluzione alle legittime esigenze di occupazione e adeguata retribuzione, quando non soddisfatte dal settore privato nazionale. Una condizione che, pur deponendo a favore della qualità del sistema formativo nazionale, rischia di rendere poco efficaci le misure assunte per l’incremento delle specializzazioni, se non accompagnate da un sistema di incentivi che consenta di contrastare efficacemente le distorsioni evidenziate.

Redazione Nurse Times

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