Oltre la metà dei pazienti in dialisi manifesta un tipo di prurito differente da quello cutaneo “comune”. E’ il prurito correlato a insufficienza renale cronica, un prurito sistemico, grave, continuo, che impatta pesantemente sulla qualità di vita delle persone che ne sono affette. Le zone del corpo maggiormente colpite sono la schiena e le gambe, creando uno stato di sofferenza cronica con gravi ricadute anche a livello di stress e di disagio psicologico.
Su questo tema, poco conosciuto e poco considerato, si sono confrontati oggi clinici, associazioni di pazienti, infermieri e farmaco economisti nel corso di un evento divulgativo che si è tenuto a Roma grazie al contributo non condizionante di CSL Vifor, azienda impegnata nella ricerca di soluzioni terapeutiche per la cura di patologie nefrologiche e cardio renali. Nel corso dell’evento sono stati presentati i risultati di 3 interessanti survey che hanno visto coinvolti, rispettivamente, i nefrologi, i pazienti e gli infermieri.
“Dai risultati della survey di SIN – spiega il presidente, professor Stefano Bianchi – emerge come il prurito rappresenta, nei pazienti in dialisi, senza dubbio uno dei sintomi che maggiormente impatta sulla qualità di vita e, quando di grado moderato-severo, ha pesanti ripercussioni sui rapporti interpersonali, lavorativi e sociali di questi pazienti. Noto fin dagli albori della dialisi e resistente alla maggior parte degli interventi terapeutici messi in atto per cercare almeno di attenuarlo, questo sintomo è stato spesso ritenuto una inevitabile conseguenza del trattamento dialitico”.
La recente prospettiva di poter disporre di una nuova efficace e tollerata terapia del prurito ha dato nuova forza ai nefrologi e soprattutto ai pazienti per affrontare con forte determinazione questo importante problema, mettendo in atto programmi di sensibilizzazione, formazione e comunicazione sulle nuove prospettive terapeutiche che a breve saranno disponibili.
La metà dei pazienti riferisce il prurito come una condizione spesso presente che diventa particolarmente fastidiosa di notte con ripercussioni, anche gravi, sulla loro condizione di vita peraltro già impattata dalla patologia renale.
“Per avere un quadro chiaro della condizione di vita dei pazienti con prurito correlato a insufficienza renale cronica – commenta il professor Antonio Santoro, del Comitato scientifico ANED – abbiamo interrogato direttamente i pazienti e circa il 50% di loro, ci ha risposto che il prurito ha cambiato profondamente la loro qualità di vita. In particolare, il 30% dei pazienti con maggiore gravità del sintomo, riferisce che il prurito ha compromesso la loro vita sociale, il lavoro, e i loro affetti”.
“Sarebbe utile – commenta Francesco Saverio Mennini, professore di Economia sanitaria e Microeconomia all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e presidente SIHTA (Società Italiana di Health Technology Assessment) – chiedere direttamente al paziente quale è l’impatto reale sulla vita quotidiana. In questo modo si possono andare a valutare gli effetti, reali e negativi, del prurito correlato all’insufficienza renale cronica sulla vita dei pazienti stessi e dei loro caregiver. Effetti che hanno un costo, oltre che per il paziente, anche per il Servizio sanitario nazionale”.
Prosegue Mennini: “Quando si parla di qualità della vita diviene importante andare a valutare e quantificare i costi diretti non sanitari ed i costi indiretti. Infatti l’impatto negativo sulla qualità della vita si traduce, dal punto di vista dei costi, in una perdita di produttività (dei pazienti e dei caregiver), in un incremento dei costi a carico del sistema previdenziale e sociale quale conseguenza delle disabilità correlate alla malattia nonché dei costi sanitari a carico diretto dei pazienti e dei caregiver”.
E ancora: “Non solo, comunque, costi indiretti, ma anche costi diretti sanitari. Questi pazienti, infatti, sono ‘costretti’ a fare ricorso a farmaci che vanno a ridurre il problema psicologico conseguente la condizione morbosa che li caratterizza, andando ad incrementare una voce di spesa a carico del SSN”.
“Il rapporto con il paziente – dichiara Alessandro Pizzo, vicepresidente SIAN (Società Italiana Infermieri area nefrologica) – può migliorare utilizzando un linguaggio comune, semplice, chiaro, empatico e al tempo stesso scientificamente coerente. Migliorando la qualità delle relazioni tra le persone affette da malattia renale cronica, i professionisti della salute e i loro caregiver, proprio a partire dalla parola – elemento chiave della relazione di cura – possono contribuire a creare un rapporto di assoluta fiducia per favorire un’efficace alleanza terapeutica”.
Redazione Nurse Times
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