Ospedale senza batteri, a Modena ci sono riusciti

Il Policlinico della città emiliana ha sconfitto le infezioni resistenti agli antibiotici.

Su nove milioni di ricoveri annui, da 450 a 700mila persone si ammalano di un’infezione ospedaliera. In pratica, il 5-8% di tutti i ricoverati. Lo rivela con preoccupazione l’Istituto superiore di sanità, che proprio oggi ha presentato Spincar, un sistema italiano per contrastare le antibiotico-resistenze nelle aziende sanitarie e nelle comunità.

In ospedale ci si può ammalare di qualunque tipo di infezione. «Dalle più banali, come quelle cutanee o urinarie, alle più gravi, come polmonite e sepsi – ammette Massimo Galli, presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) –. Ma il punto è che tutte possono essere causate da batteri antibiotico-resistenti, soprattutto negli ospedali o in strutture di assistenza sanitaria. Sembra un paradosso, ma anche chi non ha mai assunto antibiotici corre il rischio di contrarre un’infezione da batteri resistenti».

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Difendersi non è facile, anche perché lo sviluppo di nuove molecole che riescano a bypassare i meccanismi di resistenza dei batteri richiede tempo. Serve un piano d’emergenza, dunque. Come quello adottato a Modena. Una ricetta concreta e replicabile, che ha permesso di abbattere il numero di infezioni, il consumo di farmaci e di risparmiare un bel po’ di denaro, oltre che di sofferenze agli ammalati.

Come ci sono riusciti? «Per prima cosa – spiega Cristina Mussini, direttrice della Clinica di malattie infettive dell’Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico di Modena – abbiamo chiamato un esperto di “Infection Control” dalla Germania, che ci ha aiutato a far emergere le criticità sulle infezioni ospedaliere e il consumo di antibiotici, per poi elaborare una strategia operativa».

Il primo passo è stato coinvolgere farmacisti e microbiologi per creare un sistema di sorveglianza in grado di fornire dati in tempo reale sul consumo dei farmaci e sulle infezioni da germi multi resistenti. «Questo monitoraggio è importante per aumentare la consapevolezza, ma soprattutto per sensibilizzare la direzione sanitaria dell’ospedale sul tema, in modo che dia l’input necessario per investire tutto il personale sanitario nella lotta alle infezioni ospedaliere», prosegue l’infettivologa, che è anche l’unica italiana nel consiglio direttivo dello Ias, la società internazione Aids. Per esempio, al Policlinico di Modena la direzione sanitaria ha inserito negli obiettivi annuali di ogni reparto il controllo delle infezioni

e la riduzione del consumo di antibiotici, in particolare di quelli a maggior impatto sullo sviluppo di resistenze, come i carbapenemi o i fluorochinoloni.

Ma a fare la differenza è stato il coinvolgimento di tutti gli operatori sanitari. Per riuscirci, è stata creata una rete di “facilitatori” medici e infermieri, selezionati all’interno dei singoli reparti ed educati con lezioni specifiche sul rischio infettivo. È partito così il progetto Adotta un reparto: almeno due volte a settimana gli infettivologi visitano ogni reparto per supervisionare insieme al facilitatore tutta la terapia antibiotica.

Un’altra azione del programma di controllo è l’adozione del tampone rettale universale al momento del ricovero. «Per verificare se un paziente è colonizzato da un’infezione multiresistente – spiega l’esperta –, anziché basarci solo sulla presenza di fattori di rischio come, per esempio, essere già stati ricoverati o aver preso antibiotici per lunghi periodi, abbiamo deciso di fare il tampone rettale a tutti i ricoverati all’ingresso e poi ripeterlo una volta a settimana». In questo modo, non solo non sfugge alcuna infezione, ma si può subito isolare il paziente, limitando il rischio di contagio.

Grande attenzione anche alla formazione sulla corretta igiene delle mani, secondo il modello indicato dall’Organizzazione mondiale della Sanità. «Il nostro gruppo di controllo delle infezioni – prosegue Mussini – ha condotto in ogni reparto oltre 200 osservazioni pre-formazione per capire quale fosse la situazione di base. Poi, in seguito alla formazione, sono state condotte uguali osservazioni per verificare i progressi fatti».

Il coinvolgimento di tutto l’ospedale ha prodotto risultati tangibili. Nel 2013, anno in cui è iniziato il progetto, il tasso di resistenza della Klebsiella pneumoniae ai carbapenemi era del 40%: in cinque anni è sceso al 4%; con la Pseudomonas aeruginosa si è passati dal 33 al 9%. Dati in decisa controtendenza rispetto alla media nazionale. Ed è calata anche la spesa per antibiotici: da 2 milioni e 700mila euro nel 2013 a 1 milione e 300mila l’anno scorso, con un risparmio di oltre 1 milione di euro in 5 anni. «Una realtà non irraggiungibile: abbiamo solo messo in atto rigorosamente interventi suggeriti anche dalla nostra Regione, che possono essere adottati da tutti», conclude Mussini.

Redazione Nurse Times

Fonte: la Repubblica

 

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