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Nuove Linee guida sul triage, Marchisio: “Punto di partenza, ma anche svolta epocale”

Abbiamo intervistato il presidente di GFT, nonché componente del gruppo di lavoro che ha redatto i documenti approvati il 1° agosto dalla Conferenza Stato-Regioni.

Daniele Marchisio

Insieme a Duilio Braglia, medico e direttore di tre pronto soccorso nella provincia di Reggio Emilia, ha fatto parte del gruppo di lavoro incaricato di redigere i documenti sulle nuove Linee guida per triage e Obi. Infermiere, presidente del GFT (Gruppo Formazione Triage), che di recente ha dato alle stampe la quarta edizione del manuale Triage infermieristico (edizioni McGrow-Hill), Daniele Marchisio è senz’altro la persona giusta a cui rivolgersi per parlare del testo recentemente approvato dalla Conferenza Stato-Regioni.

«Sono d’accordo con chi la definisce una svolta epocale (vedi l’intervista da noi realizzata con Andrea Andreucci, ndr) – esordisce –. Finalmente si è provveduto a uniformare il modello di triage, facendo in modo che la relativa attività diventi davvero valutazione e presa in carico della persona, rispettando regole e criteri organizzativi bisognosi di essere formalizzati. Negli ultimi decenni il pronto soccorso è cambiato, come pure il contesto nel quale opera: è aumentata non solo la quantità, ma anche la qualità delle prestazioni offerte all’utenza. Ecco perché non si poteva rimandare oltre l’approvazione delle raccomandazioni sulle buone pratiche inerenti due attività di Ps (triage e Obi) che si sono notevolmente evolute nel tempo».

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Tra le novità in tema di triage, salta subito all’occhio il passaggio da quattro a cinque livelli di codifica, con l’introduzione dei numeri accanto ai colori. «Serviva una stratificazione più corretta del grado di priorità da assegnare al paziente – spiega Marchisio –. In questo modo si risolve il problema delle troppe emergenze alle quali era prima assegnato il codice verde: parliamo di una stima compresa tra il 40 e il 70 percento. Inoltre si evita la confusione tra priorità e gravità, diversificando in maniera netta i codici che identificano appunto la priorità da quelli che riguardano altri aspetti, come ad esempio i codici di percorso. Insomma, abbiamo definitivamente chiarito come vada assegnato un codice e quale processo l’infermiere debba seguire per adempiere con precisione a tale compito».

Già, l’infermiere. Tocca a lui, e non da oggi, gestire l’attività di triage. Il presidente di GFT non ha dubbi che si tratti della figura professionale più appropriata: «L’attribuzione dei livelli di priorità è un processo scientifico e richiede competenze specifiche. Competenze che gli infermieri ormai possiedono. Parliamo di professionisti perfettamente in grado di individuare i bisogni di salute delle persone che si rivolgono al pronto soccorso e di pianificare la risposta più adatta, garantendo sicurezza sia ai pazienti che agli operatori»

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Eppure c’è ancora chi non la pensa così. Basti pensare al sindacato dei medici Coas, che ha espresso preoccupazione non solo per la possibilità, attribuita agli infermieri del triage, di somministrare alcuni farmaci in autonomia, ma anche per la responsabilità infermieristica in materia di assegnazione delle priorità. «È ora di dire basta a polemiche sterili e anacronistiche – tuona Marchisio –. Il triage è una funzione infermieristica riconosciuta a livello internazionale. Lo è dagli anni Sessanta negli Stati Uniti e dagli anni Settanta nel Regno Unito. Scandalizzarsi per le responsabilità giustamente riconosciute agli infermieri equivale a strumentalizzare l’emergenza, alimentando una stupida quanto inutile guerra interprofessionale. L’emergenza si fa in team! Chi ancora si ostina a non riconoscere i passi da gigante compiuti dall’infermieristica vive su un altro pianeta. Oppure non ha idea di cosa significhi lavorare nell’emergenza».

Non tutte le critiche, però, vengono per nuocere: «Se costruttive, sono ben accette, anche perché alimentano il confronto su un tema di grande importanza. Tuttavia, prima di criticare, sarebbe opportuno leggere con attenzione i documenti, non limitandosi ai punti di maggiore impatto. Nessuno sostiene che le nuove Linee guida risolvano tutti i problemi, ma di sicuro cominciano ad affrontarli. Consideriamo, per esempio, i tempi d’attesa: certo, il triage non li elimina, ma almeno li razionalizza».

Qualcuno parla poi di risorse carenti: «È vero, le risorse sono poche. Ecco perché vanno ottimizzate. Ma ciò deve essere oggetto di valutazioni organizzative e contrattazioni da effettuare in altre sedi. Noi, intanto, abbiamo stabilito cosa si fa in triage. Adesso spetta ad aziende e professionisti mettere in atto i provvedimenti necessari perché il triage funzioni a dovere. Provvedimenti, in particolare, che permettano agli infermieri triagisti di dedicarsi unicamente alla presa in carico delle complessità assistenziali, senza perdere tempo in attività improprie».

Chiudiamo il cerchio, allora, tornando a quella svolta epocale di cui parlavamo all’inizio della nostra chiacchierata con Daniele Marchisio, che termina con un auspicio: «I documenti approvati dalla Conferenza Stato-Regioni, se ben utilizzati, porteranno grossi vantaggi. Non solo agli operatori, che sapranno esattamente come comportarsi, mettendo da parte l’improvvisazione, ma pure ai cittadini, che godranno di maggior sicurezza nell’assegnazione delle priorità, affidandosi a figure più preparate in fatto di accoglienza e di valutazione dei vari casi. Ora parte un lungo lavoro di applicazione. Un lavoro che richiede massimo impegno da parte dei professionisti e della politica, chiamata a creare le condizioni per un’efficace traduzione in realtà di quanto stabilito dalle Linee guida. Che sono soltanto un punto di partenza».

Redazione Nurse Times

 

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