“Non so se andrà tutto bene ma noi ce la stiamo mettendo tutta. Non siamo eroi e non vogliamo essere considerati tali”

“Non so se andrà tutto bene ma noi ce la stiamo mettendo tutta. Non siamo eroi e non vogliamo essere considerati tali, ma di una cosa sono certa l’infermiere svolge una professione per pochi e io sono fiera di essere tra VOI, tra i pochi…”

H 5.20: suona la sveglia, non sai che giorno sia, ti alzi, cerchi di non pensare e ti prepari la moka più grande che ci sia, prendi vitamine e integratori e nel frattempo ti prepari. Ti gusti il caffè, qualche biscotto giusto per arrivare a quando potrai pranzare e una sigaretta come la migliore mai fumata prima, hai sete ma ti concedi solo un gigante bicchiere d’acqua perché non puoi permetterti di bere troppo, se bevi ti scapperà da urinare ma tu sai che nelle prossime 8 ore non avrai la possibilità di andare in bagno e se quindi bevi, urini.

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Sali in macchina, qualsiasi canzone che venga trasmessa alla radio, la metti al massimo, in quel tragitto di 3 minuti da casa al lavoro che ti godrai come se stessi attraversando lo stivale d’Italia, quella canzone ti sembrerà come la più bella mai ascoltata. Arrivi in ospedale timbri il cartellino ed è lì che ti fai forza e ripeti dentro di te “andrà tutto bene anche oggi, noi siamo infermieri e la paura va lasciata fuori da queste mura perché qui c’è qualcuno che ha bisogno di noi.”

H 6.40: sei già bardata dalla testa ai piedi, cuffia, occhiali , maschera, visiera, tuta integrale, due paia di guanti e tre calzari fai da te con i sacchi della rumenta e cerotto di carta. Prendi le consegne e guardi i colleghi della notte stremati che non si reggono in piedi e con i segni in faccia, salutandoli gli auguri un buon riposo strameritato che forse salterà perché c’è bisogno di rientri perché non c’è personale.

Tu sei li, in un reparto covid-19 improvvisato, in balia di una mattinata che non sai come andrà e dandoti una pacca di conforto con i colleghi urli “partiamo?” Si, urli perché tra le altre cose tu non senti e gli altri non ti sentono, come se fossi in una palla di vetro isolata e lasciata al tuo destino, ma una cosa è certa. Tu e i tuoi colleghi darete il massimo nonostante non sia preparata a tutto questo, addestrata e mai avresti pensato che avresti lavorato in quelle condizioni.

In quelle ore tu pregherai che tutto ciò che hai addosso resista fino a fine turno e che nemmeno un centimetro del tuo corpo sia scoperto. Sai che non potrai bere, mangiare, sederti, andare in bagno, toccarti, ma dovrai solo dare il massimo, rispettando i tempi di lavoro e cercando di tutelare te i tuoi colleghi ed i pazienti, bisognosi di cure, di assistenza ma anche di conforto, cosa che a volte non trovi nemmeno per te stessa.

Nel corso della tua mattinata la cosa che ti mancherà di più é una cosa così semplice che a tutti ci sembrava ovvia “L’ARIA”, a noi manca l’aria ma non come a chi é chiuso in casa e a cui manca uscire, a noi manca l’aria perché non riusciamo a respirare e di certo la candeggina spruzzata addosso ad ogni cambio paziente non é d’aiuto, anzi.

Tutto avrei pensato nella vita ma mai che mi potesse mancare l’aria.

Dopo prelievi ematici e di urine , EGA, igiene al letto, cambio biancheria, terapia EV, terapia orale, cambi aghi, cateteri, visita medica, colazioni, pranzi, imboccare i pazienti non autosufficienti e pulire tutto amplificato con le misure di sicurezza da adottare da un paziente all’altro, finalmente arriva la fine del tuo turno e i colleghi del pomeriggio che varcano la porta del reparto saranno come un raggio di sole in una giornata buia, ma ecco che arriva il momento più tragico e che io personalmente vivo con più ansia del turno:  la “svestizione”. Perché se sbagli un passaggio, se ti tocchi, se sbagli qualcosa ti contamini di questo benedetto Covid-19.

Svestita e lavata, finalmente respiri, ti sgoli una bottiglia d’acqua intera e urini, cose così normali ma non tanto normali per noi in questi giorni. Ti guardi allo specchio e ti guardi quei segni in faccia lasciati dalle mascherine che fanno male ma che preghi che abbiano fatto il loro dovere.

Date le consegne ai colleghi che a loro volta si vestono, mentre te ne vai provi a fare loro un sorriso di conforto per le loro prossime ore di lavoro, anche se a malapena un sorriso ti esce, ma ci provi perché un sorriso, una parola di conforto in questi casi può cambiarti la giornata.

Ritimbri, sali in macchina e rialzi al massimo la canzone passata alla radio in quel momento cercando in quei 3 minuti di tragitto di lasciare tutto alle spalle e di non portare i pensieri e le preoccupazioni a casa anche se impossibile, anche perché arrivata a casa riniziano le misure di precauzione e sicurezza per non rischiare di contagiare chi ti sta affianco, sempre se non sei costretta a distaccarti da figli, mariti, compagni, parenti perché già noi siamo a rischio e non vogliamo metterci anche loro.

Noi abbiamo scelto di essere infermieri, loro no.
Non so se andrà tutto bene ma sono sicura che noi ce la stiamo mettendo tutta, ma siamo umani e ci stanno chiedendo oltre l’umano.

Ci offrono 100€ in più nello stipendio per il 99,9% dei rischi a cui siamo sottoposti tutti i giorni, io preferirei più risorse, più personale sanitario e più tutela per me, per i miei colleghi e per le nostre famiglie, anche perché mai vista vincere una guerra senza soldati e senza armi.

Non siamo eroi e non vogliamo essere considerati tali, ma di una cosa sono certa l’infermiere è una professione per pochi e io sono fiera di essere tra voi, tra i pochi .

Se il gioco si fa duro noi non ci tiriamo indietro, ma giochiamo, indossiamo la divisa e ci auto convinciamo che andrà tutto bene per non demordere perché noi siamo la speranza per i nostri pazienti che ora più che mai hanno bisogno di noi e hanno solo noi affianco in questa tremenda battaglia.

Noi non saremo mai più quelli di prima…tutto questo ci avrà cambiati per sempre” .
#coronavirus #repartoCovid19 #medicina #medicinasp #noirestiamoincorsia #voirestateacasa #laspezia

Diletta Rizzotti

Redazione Nurse Times

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