NIV e H-CPAP: alleati strategici nella lotta al Covid-19

Rilanciamo un articolo a firma di Domenico Dentico e Francesco Ferri, pubblicato sul periodico di Opi Bari.

La NIV (ventilazione non invasiva) è una qualsiasi forma di supporto ventilatorio a pressione positiva senza l’ausilio di un tubo endotracheale (International Consensus Conferences in Intensive Care Medicine, 2001), utilizzata, in pazienti con insufficienza respiratoria non grave, che respirano autonomamente. Il metodo più semplice per ottenere la NIV è creare una pressione continua nelle vie aeree (CPAP) attraverso una PEEP (Positive End-Expiratory Pressure), cioè una pressione di fine espirazione applicata in tutte le fasi della respirazione (riposo, inspirazione ed espirazione).

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Per poter realizzare questo sistema abbiamo bisogno, però, di una interfaccia per collegare il paziente al sistema di erogazione della CPAP e tra queste le più utilizzate sono le cannule nasali, le maschere e i caschi. Le cannule nasali e le maschere nasali/maschere oro-nasali (full-face) presentano lo svantaggio di creare maggiori perdite aeree e un certo grado di discomfort dovuto alla pressione e alle lesioni cutanee che si possono determinare in alcuni punti del viso del paziente, dove la pressione insiste maggiormente.

Il casco o elmetto o scafandro CPAP (HCPAP) è un device che non crea problemi di pressione sul viso del paziente ed è più tollerato. Il primo casco nella storia è stato ideato e realizzato nel 1971 dal un pediatra americano, il dr. Gregory (chiamato poi casco di Gregory), per trattare neonati con severa sindrome da distress respiratorio (Gregory et al. 1971). Effetti positivi della CPAP sull’apparato respiratorio in corso di infezione da Covid-19.

L’infezione da coronavirus provoca una polmonite interstiziale con insufficienza respiratoria di tipo I (lung failure), che causa ipossia (PaO2 < 60 mmHg), senza alterare, almeno nelle fasi iniziali, la ventilazione tanto che sussiste normo/ipocapnia (insufficienza respiratoria acuta ipossiemica normo/ipocapnica). Lo scambio gassoso, quindi, è alterato, ma la ventilazione è conservata e alla radiografia il polmone appare ‘bianco’.

Nell’insufficienza di tipo II (pump failure), invece, oltre all’ipossiemia riscontriamo anche l’ipercapnia (> 45 mmHg) per alterazione della funzione respiratoria e ipoventilazione (insufficienza respiratoria acuta ipossiemica ipercapnica). Alla radiografia il polmore appare ‘nero’. La riduzione rapporto PaO2/FiO2 correla con la gravità della patologia respiratoria (>400 nella norma, 400300 alterato, 300-150 molto alterato, <150 gravemente alterato).

L’utilizzo di una pressione di CPAP può avere effetti positivi importanti sull’apparato respiratorio perché:

• Aumenta la capacità funzionale residua, la compliance polmonare e la ventilazione.
• Recluta un numero maggiore di alveoli, migliora il rapporto ventilazione/perfusione, migliora, quindi, l’ossigenazione e l’ipossia.
• Riduce il lavoro respiratorio.
• Impedisce il de-reclutamento alveolare.
• Riduce lo shunt intrapolmonare.
• Sposta la curva volume/pressione in un punto più favorevole.

Se troppo alta, però, può influire sulla funzione cardio-circolatoria, aumentando la pressione in vena cava, riducendo, così, il ritorno venoso con conseguente minor riempimento delle cavità cardiache e diminuzione della pressione arteriosa. Il casco-CPAP è formato da un anello rigido che ferma un diaframma di materiale plastico a tenuta sul collo del paziente, da una calotta trasparente e da vie di ingresso e uscita dei gas. Accogliendo completamente la testa, non presenta punti di contatto con la faccia e quindi elimina il rischio di pressioni sul volto e può essere applicata anche al paziente con deformità facciale o edentulia e, inoltre, essendo un dispositivo sigillato all’altezza del collo isola le vie respiratorie del paziente dal mondo esterno prevenendo in tal modo possibili contagi.

Gli svantaggi sono rappresentati dal possibile rebreathing di CO2 se si adoperano bassi flussi di gestione, inferiori a 30 L/m (Patroniti et al., 2003; Torri et al., 2009) e dal rumore causato dagli alti flussi e dal di spositivo ‘Venturi’ (Venturimetro). Il rumore può raggiungere anche i 90 decibel, ma può essere ridotto con l’utilizzo di tubi con superficie interna liscia, filtri HME (Heath and Moisture Exchangers) adoperati, in tal caso, non per l’umidificazione e tappi auricolari ottenendo, così, all’interno livelli accettabili prossimi a quelli ambientali di 40-60 decibel (Cavaliere, 2003).

Il flusso è erogato con flussometri o miscelatori aria/ossigeno, pressurizzati a 2 bar, come qualunque impianto centralizzato a rete o bombola fornisce. La PEEP, misurata e monitorata con apposito manometro, si ottiene applicando una valvola sulla via di uscita del gas. La valvola PEEP può essere di due tipi:

1. Valvola meccanica costituita da una resistenza determinata da una molla.
2. Valvola ad acqua in cui la pressione si genera immergendo il tubo espiratorio in un contenitore di acqua e il valore di PEEP, che si vuole ottenere, è determinato dalla profondità di immersione del tubo stesso. Se tutto funziona alla perfezione si vedranno fuoriuscire, dall’estremità del tubo immerso, in continuazione delle bolle.

Potremmo anche utilizzare ventilatori meccanici come generatori di flusso purché in grado di offrire flussi > 30 L/m così da evitare l’accumulo della CO2 all’interno del casco (Taccone et al., 2004). Per quanto riguarda il sistema di fissaggio, per evitare decubiti nel cavo ascellare, parestesie ed edemi agli arti, specialmente con valori di PEEP > 10 cmH2O, si può prevedere il fissaggio del casco utilizzando dei contrappesi (Mancini, 2006).

Ultimo aspetto da considerare, non meno importante, è l’umidità e la temperatura all’interno del casco, perché somministrare gas freddi a 10-20°C e umidità allo 0%, come presenti nei gas provenienti da sistemi centralizzati o da bombole, significherebbe provocare distress al paziente, per alterazione del trasporto mucociliare e secchezza oculare e delle mucose (ICCICM, 2000). E’ bene, quindi, riscaldare ed umidificare i gas con un umidificatore attivo e tubi riscaldati che garantiscano un contenuto di acqua dei gas inspirati di almeno 10 mgH2O/L (ANSI, 1979) e una temperatura, in prossimità del paziente, di 28°C con un gradiente di -2 rispetto alla temperatura della camera di umidificazione e questo sia per evitare il formarsi di condensa che per discriminare tra la condensa dovuta ad una umidificazione eccessiva e quella determinata da insufficiente wash-out della CO2 espirata (Lucchini, 2010). Il ruolo e l’importanza della gestione infermieristica.

L’efficacia della NIV dipende in gran parte dalla tolleranza della interfaccia scelta e quindi dal comfort che riusciamo ad erogare al paziente (Elliot, 2004) e dalle competenze ed esperienza del personale infermieristico che deve essere preparato all’utilizzo di queste tecniche ventilatorie. Il monitoraggio del paziente con il casco prevede il controllo della saturazione, frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa e del ristagno gastrico.

Il casco, quindi, è un device efficace nell’insufficienza respiratoria acuta, presentando numerosi vantaggi e solo alcuni punti deboli, facilmente eliminabili, relativamente semplice da utilizzare e, aspetto molto importante in questo periodo di epidemia da Covid-19, permette di gestire, dal punto di vista respiratorio, pazienti non particolarmente critici in qualsiasi reparto, liberando, così, posti letto nelle terapie intensive, che sono già al limite delle loro possibilità, soprattutto nelle Regioni più colpite, come la Lombardia. Quindi il casco è una valida alternativa ai vari dispositivi, perché meglio tollerato e presenta un minor numero di complicanze (Antonelli, 2002), consentendo di erogare CPAP per un periodo più lungo (Principi et al. 2004), aspetto determinante per il successo della metodica.

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Fonte: Filodiretto – Periodico di Opi Bari

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