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Morte Valeria Lembo: la decisione della Cassazione sul gravissimo errore medico

Pene di entità discutibile per i responsabili del decesso della 34enne, affetta da linfoma di Hodgkin, alla quale fu somministrata una dose spropositata di vinblastina.

Una dose di 90 milligrammi di vinblastina, chemioterapico utilizzato nella cura dei tumori (inclusi il linfoma di Hodgkin, il tumore ai polmoni, quello della mammella e dei testicoli), è utile a uccidere un pachiderma di 600 chili. Immaginate cosa possa causare al corpo di una donna che pesa appena 53 kg.

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Ricorderete tutti la tragica storia di Valeria Lembo, giovane mamma di 34 anni affetta da un linfoma di Hodgkin. Aveva iniziato un ciclo di chemioterapia nel reparto di Oncologia del Policlinico di Palermo. La chemioterapia per quel tipo di malignità fa regredire la patologia nel 90 % dei casi. La donna era speranzosa e fiduciosa e il suo corpo aveva risposto bene al trattamento. Almeno fino all’ultimo, fatale ciclo di chemioterapia, quando uno zero di troppo trasformava la cura in veleno. Invece di 9 milligrammi di vinblastina, gliene venivano somministrati 90. Una dose spropositata, che avvelenava il suo corpo, costringendola per giorni ad atroci sofferenze. Fino alla morte, avvenuta il 29 dennaio 2011.

L’errore medico più grave di sempre: in letteratura non esistono altri casi di avvelenamento così clamorosi. Un errore di trascrizione, che passa di mano in mano, da un occhio all’altro, che suscita dubbi, ma non ferma la somministrazione. Nonostante le perplessità della farmacia ospedaliera, che allerta l’oncologa Laura Di Noto, non avendo subito a disposizione quell’altissima dose di vinblastinache. Nonostante le perplessità dell’infermiera, che chiama per ben due volte il medico, prima di somministrare la terapia. Nonostante le titubanze della paziente, che chiede come mai le viene infusa una flebo così grande. Nonostante la professione imponga di fermarci di fronte a un dubbio.

Quella che doveva essere l’ultima flebo per tornare a vivere, per tornare ad abbracciare e crescere  il suo bambino, per Valeria diventa un veleno mortale. Il giono dopo la somministrazione, inoltre, nessuno riferì alla paziente del grave errore, e il malessere successivo fu giustificato come una gastrite post-chemio, mentre in silenzio si cercava un antidoto inesistente.

Dopo più di dieci anni di processo, con relativo rischio di prescrizione, la Cassazione ha condannato a tre anni Sergio Palmeri, ex primario del reparto di Oncologia, a tyre anni e tre mesi la dottoressa Laura Di Noto, oncologa che seguiva Valeria, a tre anni e cinque mesi Alberto Bongiovanni, specializzando che prescrisse la dose errata e manomise la cartella, correggendo il dosaggio il giorno dopo. quando si accorse del grave errore. Assolta, invece, l’infermiera.

Un vero e proprio “omicidio”. Una giovane vita strappata per malasanità. I parenti di Valeria hanno atteso la decisione definitiva per tanto tempo, soffocando rabbia e dolore, mentre imploravano giustizia. Ma con queste pene si è davvero fatta giustizia?

Valeria Pischetola

Redazione Nurse Times

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