Microbiota intestinale: prevenire o ritardare il diabete?

Lo sviluppo di nuovi probiotici e un intervento mirato sulla dieta potrebbero offrire nuovi potenziali approcci per intervenire sul diabete. Che il microbiota intestinale possa contribuire allo sviluppo del diabete di tipo 2 è già stato dimostrato da studi precedenti condotti da un team di ricerca dell’Università di Göteborg. Ora la ricerca pubblicata su Cell Metabolism, approfondisce la questione. Indaga le modalità con cui i batteri possono contribuire al diabete di tipo 2. E pure, come questi possano aiutare potenzialmente a prevedere chi svilupperà la malattia sulla base della composizione del proprio microbiota intestinale.

La studio, basato sulla popolazione e avviato nel 2013, ha coinvolto circa 5000 persone selezionate casualmente. Si è voluto valutare quali fattori possano comportare un aumento del rischio ammalarsi di diabete di tipo 2. Per confermare e verificare i risultati, i ricercatori hanno anche analizzato i campioni raccolti dallo Swedish Cardiopulmonary Bioimage Study (SCAPIS), un trial di popolazione su scala nazionale.

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Valutando gli individui che non avevano ancora sviluppato il diabete di tipo 2, si è potuto escludere che il microbiota intestinale sia influenzato dalla malattia o dal suo trattamento.

Emerge che, negli individui con livelli elevati di glicemia a digiuno o ridotta tolleranza al glucosio, una condizione nota come prediabete, così come nelle persone con diabete di tipo 2 non trattato, il microbiota intestinale aveva subito dei cambiamenti. Di conseguenza, potrebbe essere utilizzato per identificare le persone con diabete.

Lo studio ha anche mostrato che nel microbiota intestinale dei partecipanti con prediabete o che avevano sviluppato diabete di tipo 2, si verificava una ridotta capacità di produrre butirrato. Questo è un acido grasso che promuove la produzione di ormoni nel tratto gastrointestinale e controlla l’infiammazione. La flora batterica produce questa sostanza durante la digestione delle fibre alimentari.

Una possibile implicazione è che intervenire sull’assunzione delle fibre, oppure sviluppare probiotici speciali potrebbe consentire lo sviluppo di nuove tecniche terapeutiche o di prevenzione del diabete.

Fonte: pharmastar.it

Cristiana Toscano

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