“Mi vergogno di essere infermiera: a lavoro senza DPI mi sento complice del Coronavirus in un omicidio”

Sono un’infermiera e lavoro in una struttura privata di riabilitazione accreditata con il sistema sanitario nazionale in provincia di Verbania e qui, dato che siamo una struttura a 1300 metri sul livello del mare, sembra che per chi ha potere decisionale il virus non sia in grado di arrivare a questa altitudine.

In queste ultime settimane ho potuto notare la differenza esorbitante tra la prevenzione che viene effettuata nel pubblico e in tutta Italia e quella che invece è stata adottata nella mia struttura e posso dire di essere disgustata e demoralizzata da ciò che sta accadendo.

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Mentre tutta Italia si ferma e lotta ogni giorno per combattere contro la diffusione del Covid-19, ci sono strutture come la mia che non si preoccupano della salute dei loro dipendenti e tanto meno di quella dei loro pazienti, in quanto la loro priorità è, anche in una situazione di emergenza sanitaria come questa, incassare i soldi attraverso i continui ricoveri (i quali per lo più nelle ultime settimane provenienti dalla Lombardia).

Gli unici interventi preventivi che sono stati attuati (solo a partire da Martedi 10 Marzo, dopo che l’8 Marzo era stata dichiarata anche la nostra zona come zona rossa), sono stati:

  • un triage all’ingresso della struttura per i nuovi ricoveri che prevede la misurazione della temperatura corporea e la compilazione di un questionario con domande come “hai tosse?” “sei venuto a contatto con qualche paziente infetto negli ultimi 14 giorni?” “sei stato in Cina nelle ultime settimane?”
  • e il divieto di visite da parte di parenti, i quali però possono arrivare fino al cancello chiuso e parlare con i pazienti a meno di 1 metro di distanza.

Inoltre dobbiamo utilizzare con attenzione i DPI in quanto veniamo forniti di un pacchetto di mascherine chirurgiche, che dobbiamo tenere per i pazienti con sintomi influenzali, mentre
le mascherine ffp2 e ffp3 che servirebbero al personale sanitario per autoproteggersi sono praticamente inesistenti (ad oggi ne abbiamo 3 nascoste in reparto che teniamo per una eventuale stretta necessità).

Nonostante ci sia stato un caso sospetto (arrivato il giorno precedente e ricoverato lo stesso nonostante un quadro compromesso per varie comorbilità) viene permesso il ricovero di nuove persone!

Dunque ci chiediamo che senso ha tutto lo sforzo che sta facendo la sanità pubblica e
tutta l’Italia se poi le condizioni nelle strutture private sono queste? Dov’è il senso civico, la professionalità e l’umanità della direzione sanitaria e dei primari dei reparti responsabili della continua volontà di effettuare ricoveri di persone con problemi di salute differibili in quanto non hanno carattere di emergenza?

Chi tutela la salute degli operatori e di tutti i dipendenti della struttura? Chi tutela la salute dei pazienti stessi, che spesso sono anziani e con comorbilità? Chi vi/ci pulirà la coscienza quando avremo una paziente positivo (se già non è presente, data la scarsa prevenzione) e avremo contribuito alla diffusione del virus come se niente fosse portandolo anche a casa nostra, dai nostri famigliari e anziani?

Dovremmo essere professionisti della sanità e avere come priorità in questo momento la salvaguardia della salute dei nostri pazienti e di tutto il personale sanitario (e non) che ci lavora
e invece stiamo favorendo l’economia personale alla salute della comunità, stiamo agevolando la diffusione del virus, stiamo agendo senza professionalità, senza coscienza e senza un briciolo di umanità.

Sono un’infermiera e a differenza di tutti i miei colleghi che stanno ora operando in prima linea per fronteggiare questa emergenza, me ne vergogno di esserlo, perché il modo in cui stiamo lavorando non è quello per cui ho studiato, non è il lavoro che ho imparato ad amare e per colpa di chi ha potere decisionale in questa faccenda mi sento responsabile anche io di questo “omicidio” se pur nelle mie possibilità, dove posso avere potere decisionale, e nel mio piccolo cerco di effettuare il più che posso interventi di prevenzione; per colpa delle decisioni prese da chi lavora nei piani alti sono costretta a pensare di volermi licenziare pur di portarmi addosso questo senso di colpa ogni giorno.

Lettera firmata

Dott. Simone Gussoni

Il dott. Simone Gussoni è infermiere esperto in farmacovigilanza ed educazione sanitaria dal 2006. Autore del libro "Il Nursing Narrativo, nuovo approccio al paziente oncologico. Una testimonianza".

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