Lotta alla sepsi, la strada è ancora lunga

Ieri si è celebrato in tutto il mondo il World Sepsis Day.

Ieri, domenica 13 settembre, si è celebrata in tutto il mondo la Giornata mondiale per la lotta alla sepsi (World Sepsis Day), iniziativa volta ad accrescere la consapevolezza pubblica in merito a una delle principali cause di morte e disabilità per milioni di persone ogni anno.

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La sepsi, nella definizione maggiormente condivisa e più recente, è una risposta non controllata a una infezione da parte dell’organismo ospite, che porta a una disfunzione d’organo acuta. E’ dunque una condizione clinica grave, potenzialmente letale e correlata a morbilità e mortalità elevate, che rappresenta un’emergenza medica a livello globale. Uno studio ha stimato che, nel 2017, si sono verificati quasi 50 milioni di casi di sepsi nel mondo e circa 11 milioni di decessi correlati, corrispondenti a circa il 20% dei decessi totali. L’incidenza e la mortalità associate alla sepsi variano in modo sostanziale tra le regioni del mondo, con il carico più elevato in Africa subsahariana, Oceania, Asia meridionale, Asia orientale e Asia sud-orientale.

In Europa, secondo le ultime stime, la sepsi colpisce oltre 3 milioni di persone, provocando quasi 700mila decessi l’anno, la maggior parte dei quali è prevenibile. I costi economici, oltre che di vite umane, associati alla sepsi sono molto elevati. Negli Stati Uniti, per esempio, la sepsi è la causa più comune di decesso ospedaliero e ha un costo di oltre 24 miliardi di dollari ogni anno. Nello scenario pandemico attuale, inoltre, circa il 20% dei pazienti con Covid-19 sviluppano complicanze come sepsi o disfunzione d’organo multipla, contribuendo tragicamente al già enorme onere dei decessi per sepsi.

A livello globale, la sepsi è anche una delle cause principali di mortalità materna e neonatale. Una revisione sistematica della letteratura scientifica ha attribuito circa il 15% delle morti neonatali nel mondo alla sepsi. Nei Paesi ad avanzato sviluppo economico, i dati disponibili riportano un’incidenza di sepsi compresa tra 9 e 49 casi per 100mila parti per anno e un’elevata letalità. In Italia, una stima effettuata in 8 Regioni che registrano il 73% dei bambini nati nel Paese, ha evidenziato una mortalità materna per sepsi pari a 0,2 per 100mila nati vivi negli anni 2006-2012. I dati della sorveglianza italiana hanno evidenziato un aumento di frequenza della sepsi come causa di mortalità materna nel tempo. Negli anni 2006-2012, infatti, la sepsi risultava la quarta causa più frequente di mortalità materna, mentre negli anni 2013-2015 la seconda.

Nonostante i progressi medici raggiunti negli anni recenti, anche nella identificazione rapida dei microrganismi che possono causare sepsi, la mortalità a breve termine rimane elevata e una crescente evidenza di morbilità e aumento della mortalità a lungo termine nei sopravvissuti alla sepsi, sia nei Paesi in via di sviluppo che nei Paesi sviluppati. Per ridurre e prevenire le morti causate da sepsi è di fondamentale importanza una definizione chiara e condivisa

della sepsi, che faciliti il confronto a livello nazionale e internazionale e permetta di valutare la frequenza del fenomeno e l’efficacia degli approcci terapeutici.

Per ridurre i casi di sepsi, nel 2017 la 70esima Assemblea Mondiale della Sanità ha approvato la risoluzione 70.7 per “migliorare la prevenzione, la diagnosi e la gestione clinica della sepsi”, con cui viene indicato di includere la prevenzione, la diagnosi e il trattamento della sepsi nei piani nazionali di gestione delle infezioni. In particolare, la risoluzione prevede queste cinque azioni:

  1. usare in modo adeguato gli antibiotici, poiché la sepsi pone una condizione ineludibile all’uso appropriato e responsabile di questi farmaci;
  2. rafforzare i programmi di controllo e prevenzione delle infezioni ospedaliere, per ridurre la frequenza delle infezioni correlate all’assistenza tra cui possono verificarsi casi di sepsi;
  3. aumentare la consapevolezza della popolazione;
  4. formare gli operatori sanitari alla sicurezza del paziente, poiché in caso di sepsi la gestione del tempo risulta critica e ritardi nella diagnosi e/o nella terapia adeguata comportano gravi criticità nel percorso di cura;
  5. promuovere la ricerca e la sperimentazione per la disponibilità di migliori soluzioni diagnostiche, nuovi antibiotici, vaccini e terapie.

Per combattere la sepsi, dunque, è importante ridurre la frequenza delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria e delle infezioni causate da organismi resistenti ai farmaci antimicrobici. Questi obiettivi fanno parte del Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza 2017-2020, approvato il 2 novembre 2017, con Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, le cui azioni previste sono in corso di realizzazione. La riduzione dei casi di sepsi, anche tramite il miglioramento nella diagnosi e nella cura, avrà un impatto importante sulla salute della popolazione a livello nazionale e globale.

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