L’inquinamento come causa di insuccesso della Fecondazione Assistita: lo studio

Uno studio coreano pubblicato da Human Reproduction (VEDI), ha dimostrato come le donne che seguono cicli di fecondazione assistita, se esposte quotidianamente a elevati livelli di inquinamento atmosferico, potrebbero avere probabilità notevolmente ridotte, se non dimezzate, di rimanere incinte e di portare avanti la gravidanza rispetto alle donne meno esposte a questo fattore di rischio

Secondo le stime dell’OMS, quasi il 15% delle coppie in età fertile ha problemi di infertilità

L’infertilità è un problema sempre più diffuso sia tra gli uomini che tra le donne.

Tra i principali fattori di rischio citiamo lo stile di vita, l’inquinamento e l’età.

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In questi casi, accertato lo stato di infertilità per una qualsiasi causa, la coppia può tentare la via della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).

Uno studio coreano pubblicato da Human Reproduction (VEDI), ha dimostrato come le donne che seguono cicli di fecondazione assistita, se esposte quotidianamente a elevati livelli di inquinamento atmosferico, potrebbero avere probabilità notevolmente ridotte, se non dimezzate, di rimanere incinte e di portare avanti la gravidanza rispetto alle donne meno esposte a questo fattore di rischio.

In particolare, Seung-Ah Choe, i suoi colleghi della School of Medicine della Cha University e della clinica della fertilità Cha di Seoul, hanno analizzando il nesso tra inquinamento e fecondazione assistita; focalizzando l’attenzione sui tassi di gravidanza relativi a più di 6.600 cicli di fecondazione in vitro (Ifv) nell’arco di nove anni.

Ne è risultato una notevole riduzione dei tassi di concepimento, ed un aumento degli aborti tra le donne esposte ai massimi livelli di cinque tipi di inquinamento dell’aria.

Lo studio

Il campione oggetto di studio era costituito da donne con un’età media pari a 35 anni; a metà di esse erano stati impiantati due o più embrioni.

Il team di ricerca coreana si è avvalso di una serie di parametri per dimostrare quanto riportato di seguito.

Nel dettaglio, ha esaminato le cartelle cliniche di 4.581 donne sottoposte ad uno o più cicli di fecondazione assistita in vitro nel biennio 2014-2016.

Inoltre, monitorando i livelli di inquinamento proveniente da 40 punti della città, i ricercatori hanno valutato l’esposizione oraria media di ogni donna durante il trattamento 

a:

  1. diossido di nitrogeno,
  2. monossido di carbonio,
  3. diossido di zolfo,
  4. ozono,
  5. PM 10.

In seguito, è stato effettuato un test ormonale per rilevare una gravidanza in fase iniziale.

Un altro successivamente per confermare o meno la gravidanza ed analizzare gli effetti di ciascun agente inquinante in ognuna delle quattro fasi del processo di fecondazione assistita.

Risultati

Nel 51% dei casi la procreazione assistita ha avuto successo. Per ogni ciclo, il tasso di aborto biochimico era pari a 9,4%, mentre per le gravidanze intrauterine il tasso di aborto è stato del 38%.

Maggiori criticità per l’aborto sono state riscontrate nella la prima e la terza del processo di PMA.

Durante prima fase, un aumentata esposizione a diossido di nitrogeno e monossido di carbonio era correlata a riduzioni del 7% e del 6% delle possibilità di avere una gravidanza intrauterina.

Durante la terza fase, una maggiore esposizione a diossido di nitrogeno, monossido di carbonio e PM 10 era anche associata al 7-8% in meno di probabilità di gravidanza intrauterina.

Concludendo, se da un lato questo studio conferma il nesso tra inquinamento atmosferico e processo di fecondazione assistita, dall’altro costituisce un campanello d’allarme.

Occorre un’accortezza maggiore e dunque una minor esposizione agli agenti inquinanti per tutte le donne che vogliano avere un figlio sia naturalmente, sia tramite PMA.

Serena Galantino

Fonte: academic.oup.com

Redazione Nurse Times

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