“L’infermiere dedica gran parte della vita agli altri: non è affatto facile”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Ilaria Sfregola, studentessa di Infermieristica.

Salve, mi chiamo Ilaria Sfregola e sono una studentessa di Infermieristica. Vi scrivo perché voglio dar voce alla figura dell’infermiere, troppo spesso sottovalutata nella nostra società. Sono uno di quei pochi studenti di Infermieristica che ha scelto questo percorso universitario non come ripiego da Medicina o Fisoterapia, ma come prima opzione, provando unicamente il test di ingresso delle Professioni sanitarie. Conoscevo la figura dell’infermiere, e ciò che mi affascinava era il tipo di assistenza “olistica” che ti permette di entrare in consonanza, empatia con il paziente. Quando ho intrapreso questo percorso mi sono scontrata con molte difficoltà, in primis nel far capire, all’interno della realtà ospedaliera e non, quale sia il vero ruolo dell’infermiere professionista, sottovalutato da molti. Nonostante il continuo sviluppo della professione infermieristica, la maggioranza dei cittadini non conosce le competenze che l’infermiere possiede, non ha chiara l’essenza del tipo di assistenza erogata, e nel 2019 ci si scontra ancora con molti stereotipi, spesso frutto anche dei media. Il risultato è l’immagine convenzionale dell’infermiere come colui adibito a “fare un prelievo, somministrare farmaci, fare punture”. Il tutto accompagnato dalla solita espressione: “Ci vuole una laurea per fare questo? Lo sa fare anche la mia vicina di casa!”. Ecco, vi rispondo: ci vuole una laurea per fare questo, perché non avete idea della complessità del nostro organismo, dell’albero arterioso, venoso. E per fare queste cose è necessario avere determinate conoscenze. Non a caso nel decreto 739/1994 è individuata il ruolo dell’infermiere come figura PROFESSIONALE, responsabile delle cure palliative, riabilitative, relazionali, educative e di natura tecnica. L’infermiere, quindi, non è adibito a fare solo le “punture”, ma è garante dell’assistenza infermieristica in toto, con un peso di responsabilità molto alto, alla pari del medico. La mano professionale dell’infermiere è fondamentale per garantire la sopravvivenza del paziente. Le cosiddette “macchine salvavita” (sostitutive della funzionalità di alcuni organi, come l’emodialisi) sono a gestione completamente infermieristica, e richiedono capacità decisionale e conoscenze di natura fisiologica e tecnica, perché l’attacco di un filo, piuttosto che di un altro, può compromettere la vita dell’ammalato, come anche la somministrazione sbagliata di un farmaco. Garante dell’assistenza generale in toto, l’infermiere assiste il paziente durante la sua sofferenza, ritornando a casa spesso con una grande carica emotiva. Il medico prescrive le terapie, opera il paziente, ma è l’infermiere a essere presente alle sue sofferenze, con l’ulteriore responsabilità di saper dire una parola di conforto al momento giusto. Non è facile assistere il paziente durante la sua sofferenza: quel dolore lacera e, nonostante non ci siano mezzi di protezione individuali e non ci sia abbastanza riconoscimento del nostro lavoro sul piano sociale, ogni giorno indossiamo quella divisa, mettendo da parte le nostre problematiche. Perché una volta indossata, sai bene che i nostri pensieri possono essere questione di vita. Ecco, l’infermiere dedica gran parte della sua vita agli altri. E credetemi, non è per niente facile. Ma amo fortemente il percorso che ho intrapreso, e non c’è nulla di meglio che ricevere a fine turno un grazie, un sorriso da un paziente. Ilaria Sfregola
 
Redazione Nurse Times

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