Gentile presidente Mangiacavalli, sono un’infermiera di corsia di un piccolo ospedale di provincia Francavilla Fontana (BR).
Lavoro da circa 30 anni, amo profondamente il mio lavoro ed ho cercato di “scalare” i gradini del mio completamento professionale acquisendo l’allora Abilitazione a Funzioni Direttive e la Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche; titoli spendibili in parte: il primo perché l’ultimo concorso per “caposala” è stato espletato nel 1994 e da allora il nulla, relegandomi ad oggi ad essere ancora una “facenti funzioni di coordinamento” anche se amo ciò che faccio. Il secondo è solo un titolo conservato con cura in quanto la mia Regione Puglia ma soprattutto la mia provincia non ha mai bandito e neanche considerato di dar corso all’istituto dei servizi infermieristici e dei suoi dirigenti.
Non solo ma nella mia provincia abbiamo sempre vissuto la presenza o per meglio dire l’assenza di un Collegio IPASVI, presente e vivo solo al momento del rinnovo con campagne elettorali “molto convincenti”.
Come dire mi sono sempre sentita come se nel percorso delle evoluzioni e delle tutele infermieristiche la mia realtà territoriale viaggiasse sulle lentissime ed accidentate ferrovie del SUD-EST a differenza della Freccia Rossa di altre realtà italiane. E lo stesso mi sento di dire se guardo al panorama italiano rapportandolo alle realtà del nord Europa o Americane o Canadesi.
Non esiste trasmissione TV che parli di salute in cui si chieda il parere dell’infermiere, le manovre di BLDS pediatrico vengono mostrate dalla Cuccarini in “30 ore per la vita”; le medicazioni delle ferite lacero- contuse dei bambini a “Detto Fatto” vengono mostrate da una pediatra; si sponsorizza l’iscrizione alle forze armate, la carriera in polizia, l’attività dei medici di EMERGENCY, e quant’altro. E gli infermieri? Ah sì dimenticavo noi compariamo solo quando ci confondono con gli ausiliari, con le badanti con competenze infermieristiche o quando addirittura inventano nuovi titoli “infermiere ausiliario”.
Con la sua lettera ai media, è come se qualcuno avesse finalmente spalancato le finestre chiuse da decenni sulla nostra professione e una folata di vento abbia spazzato via la polvere, ridandoci la speranza che qualcuno, cittadini, politica, società e la nostra stessa professione riscopra il valore e la dignità che merita.
La mia speranza? Che venga riconosciuto il ruolo sociale della nostra professione, i nostri valori, con l’Ipasvi che sia non solo un acronimo sconosciuto dai cittadini, ma la casa degli infermieri riconosciuta da tutti…chiedendo ai cittadini quale sia il ruolo di un infermiere, si possa andare oltre, alla classica risposta “esegue la terapia”, e soprattutto che alla domanda “cosa vuoi fare da grande?”, un bambino possa finalmente dire con orgoglio, “l’infermiere come il mio papà”.
Con immensa stima le auguro buon lavoro.
Mimma Galasso
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