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Lavoro usurante: risarcimento di 40mila euro per le patologie contratte da un uomo

La Corte di Cassazione ha ribaltato le precedenti sentenze, dando ragione a un lavoratore affetto da rachipatia artrosica con protrusioni discali multiple a discreto impegno funzionale.

Con sentenza 3 marzo 2022 n. 705840 la Corte di Cassazione ha fissato in 40mila euro l’ammontare del risarcimento spettante a un lavoratore che ha dimostrato come le patologie sorte nell’arco della sua vita siano derivanti da un lavoro usurante. Patologie consistenti in una rachipatia artrosica con protrusioni discali multiple a discreto impegno funzionale.

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L’uomo si era dapprima rivolto al Tribunale di Sulmona (L’Aquila) affinché accertasse la responsabilità della società ex datrice di lavoro per i danni biologici, morali, patrimoniali e non, ed esistenziali causati dall’averlo destinato all’esecuzione di mansioni usuranti (consistenti in movimentazione di carichi, esposizione a vibrazioni, posture incongrue ed eventi climatici), senza fornirgli idonea tutela per tali rischi e specifica formazione atta a prevenirli.

Dopo l’esito negativo del ricorso, confermato dalla Corte d’appello dell’Aquila, la Cassazione ha ribaltato il giudizio, fissando i principi cardine volti a stabilire quando il datore di lavoro è direttamente responsabile del danno da lavoro usurante. Per la Suprema Corte il datore di lavoro non ha una responsabilità “automatica” che possa scattare a fronte di qualsiasi infortunio o malattia, indipendentemente da qualsiasi colpa a questi ascrivibile.

Al contrario, la responsabilità del datore di lavoro per i danni alla salute al dipendente deve: 

  • innanzitutto essere collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; 
  •  in secondo luogo provata.  

In particolare, il lavoratore deve provare:

  • l’esistenza del danno alla salute; 
  • la nocività dell’ambiente di lavoro; 
  • il nesso di causa ed effetto tra l’una e l’altra, ossia il fatto che il danno alla salute sia stato conseguenza della nocività dell’ambiente di lavoro, e non di altri fattori esterni.

Una volta che il lavoratore abbia fornito tale provail datore che voglia contestare la propria responsabilità ed evitare una condanna al risarcimento del danno deve dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno.

Redazione Nurse Times

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