Caro Direttore,
le scrivo in merito ad una lettera apparsa su alcune pagine social che racconta di una giovane infermiera e di una vecchia infermiera entrambe in servizio in un punto prelievi di sangue.
La giovane infermiera lamentava una certo fastidio nell’esercitare accanto alla vecchia collega che reputava ormai obsoleta dal punto di vista formativo e culturale sebbene invece ancora eccellente nelle abilità tecniche.
Non entro nel merito della proposta lanciata della giovane infermiera di modificare il termine “infermiere” in qualche altro titolo apparentemente più prestigioso, ritengo che essere infermieri sia un titolo coerente con il corso di laurea scelto e frequentato e che i titoli non siano necessariamente garanzia di professionalità e talento acquisito con l’esercizio della professione.
Ma per tornare alla convivenza oggi tra vecchi e nuovi infermieri vorrei raccontarle come sono diventata infermiera negli anni 80 e come lo sono oggi nel 2016 anno in cui le scrivo.
No, stia tranquillo Direttore, non le racconterò una storia giurassica che iniziò con una padella infilata al contrario (dalla parte del manico) e finì con la pubblicazione di un libro di medicina narrativa. Sono fin troppo certa della mia stagionatura professionale e dall’alto della mia umiltà non amo ricordare ai giovani che le nostre radici sono le loro opportunità di oggi.
Quando da tutor universitario mi trovavo a collaborare con giovani aspiranti infermieri rimanevo sovente basita dalle loro aspettative professionali che non sempre trovavano riscontro nella realtà professionale. Di certo nel mio mandato tutoriale ho fatto sempre tesoro delle belle novità che i giovani portavano nella mia datata formazione, ho imparato tanto da loro e credo anche loro qualcosa da me.
Personalmente non mi sento vecchia professionalmente anche se la mia formazione è di base e non annovera una laurea che non vanto, nonostante l’equipollenza dei titoli. La sete di cultura in generale non ha stagioni e tutti dovremmo imparare qualcosa da chi ci ha preceduto e da chi arriverà.
La voglia di cambiamento rende incredibilmente giovani, è come un balsamo sulle ossa che scricchiolano e anche sui colleghi che hanno perso la voglia di crescere. Quando il mio ente pensionistico mi ha comunicato che nonostante l’età avanzata avrei dovuto lavorare ancora una decina di anni ho detto:
“Bene! Quante cose si possono fare ancora in 10 anni? Ce la farò a combattere il demansionamento, a combattere per stipendi per gli infermieri più dignitosi, a garantire ai pazienti degli stili di cura più umani?”
Se Dio Vorrà forse. Nel mentre non ho tempo di fare la guerra tra giovani e vecchi infermieri, anzi mi auguro che i giovani crescano sani e desiderosi di curare noi vecchi con la dignità che meritiamo.
Grazie Direttore.
Laura Binello
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