Il target dell’ossigeno iperbarico è l’endotelio: la parete dei vasi sanguigni (la cui superficie totale si estende per 600 metri quadrati – un campo da calcetto – e pesa 1,5 kg). L’endotelio ha molteplici funzioni e comportamenti. Ad esempio, produce il monossido di azoto (NO) e le citochine, entrambi mediatori importanti nel nostro organismo.
In seguito ad adeguata stimolazione (meccanica o chimica), le cellule endoteliali producono l’NO, una sostanza abbastanza ubiquitaria prodotta a partire dall’amminoacido L-arginina (aminoacido assunto con l’alimentazione) e dall’ossigeno. Il monossido di azoto ha molteplici e importanti azioni: vasodilatatore (antipertensivo), antiaggregante, antinfiammatorio (riduce l’adesione dei leucociti alla parete e la conseguente diapedesi). Oltre all’effetto primario sull’endotelio, al NO è riconosciuto un ruolo determinante di mediatore biochimico in numerose funzioni, a livello cerebrale (es. controllo dell’apprendimento e della memoria), gastrointestinale (modulazione delle secrezioni e della motilità), respiratorio (modulazione del tono della muscolatura liscia bronchiale), renale (autoregolazione del flusso ematico. Ai radicali liberi dell’NO sono attribuite importante funzioni di difesa nei confronti delle infezioni batteriche e nel controllo della crescita dei tumori.
Le citochine sono dei mediatori che stimolano il sistema immunitario, in particolare i globuli bianchi, ad esprimere un recettore (beta-2 integrine) che permettono la loro adesione alla parete sanguigna (endotelio), con conseguente diapedesi, migrazione, fuoriuscita di liquidi e attivazione dell’infiammazione: gonfiore, rossore, dolore, calore e functio lesa.
Cosa c’entra l’ ossigeno iperbarico?
Il grado di ossigenazione del sangue arterioso può essere espresso da due parametri diversi e non corrispondenti tra loro:
Con questi valori di ossigeno nel sangue, una persona SANA produce una quantità di NO in grado di fare fronte a un “insulto” o malattia. Quando una persona abbia uno o più fattori di compromissione quali: fumo; malattie reumatiche; anemia (Hb < 9 g/dl); diabete (Hb glicata > 8,2%); malattie del fegato; malattie renali (creatinina > 3 mg/dl); malattie respiratorie o altre patologie che inibiscano la produzione di NO, è necessaria una maggiore PaO2 per attivare la sintesi dell’NO. Per chi sia interessato al dettaglio: più ci sono fattori di compromissione, maggiore sarà la costante di Michaelis (che misura l’affinità tra enzima e substrato) dell’enzima Monossido di Azoto Sintetasi (NOS – Nitric Oxide Synthase). Più la costante è alta meno c’è affinità tra enzima e substrato e quindi maggiore sarà la concentrazione del substrato (ossigeno) necessaria a raggiungere una velocità di reazione pari a metà della velocità massima: per il controllo della infiammazione, in presenza di uno o più fattori di compromissione che fungano da inibitori della normale sintesi di NO, sarà necessario aumentare la pressione parziale del substrato ossigeno a 190 microMoli (µM) che corrispondono a una ppO2 di almeno 130 mmHg che è possibile ottenere respirando ossigeno iperbarico alla pressione ambientale di 2,5 bar (vedi tabelle 1 e 2)
Km apparente ppO2 (in presenza di inibitore) | ||
NOS neuronale | ~ 490 mmHg | 350 µM |
NOS infiammatoria | ~ 130 mmHg | 190 µM |
NOS endoteliale | ~ 38 mmHg | 53 µM |
Figura 1: costante di Michaelis (che misura l’affinità tra enzima e substrato) dell’enzima Monossido di Azoto Sintetasi (NOS – Nitric Oxide Synthase). Più la costante è alta meno c’è affinità tra enzima e substrato e quindi maggiore sarà la concentrazione del substrato (ossigeno) necessaria a raggiungere una velocità di reazione pari a metà della velocità massima
ppO2 (bar) |
PaO2 (mmHg) |
PtcO2 (mmHg) normale arteriopatia |
|
0,21 ppO2 contenuto nell’aria ambiente |
90 ± 9 |
41 ± 10 |
20 ± 5 |
1 ppO2 puro a pressione ambiente |
625 ± 23 |
76 ± 45 |
20 ± 8 |
2 ppO2 puro a 10 mt profondità |
1356 ± 28 |
280 ± 50 |
104 ± 20 |
2,5 ppO2 puro a 15 mt profondità |
1700 |
348 |
152 |
2,8 ppO2 puro a 18 mt profondità |
2100 | 451 ± 80 | 201 ± 40 |
Tabella 2: confronto tra pressione parziale nell’ambiente dell’ossigeno (ppO2); pressione parziale nel sangue arterioso dell’ossigeno (PaO2); tensione transcutanea di ossigeno (PtcO2) sia nei tessuti normalmente perfusi (normale) che in quelli ischemici (arteriopatia).
Quindi, nei pazienti con uno o più fattori di compromissione, l’ossigeno iperbarico è una potente terapia per ripristinare la normale sintesi del monossido di azoto che agisce come “farmaco”.
Inoltre l’ossigeno iperbarico, di per sé e indipendentemente dalla sintesi del monossido di azoto, è battericida sui germi anerobi; inibisce le alfa tossine prodotte dai germi anaerobi (che necrotizzano i tessuti molli); è batteriostatico per i germi aerobi (come lo Stafilococco) e potenzia l’efficacia di molti antibiotici (come gli aminoglicosidi), riducendo la Minima Concentrazione Inibente (MIC) necessaria per inibire il microorganismo.
Negli incidenti da decompressione, nell’embolia gassosa iatrogena (insorta durante procedura chirurgica) e nella riparazione dell’osso (fratture esposte, necrosi ossea asettica) la pressione di per sé ha un ruolo importante nel ridurre le dimensioni delle bolle o nello stimolare la osteogenesi per un effetto biofisico.
L’ossigeno iperbarico genera, nella cellula, uno stress ossidativo (causato dai radicali liberi dell’ossigeno, radicali liberi dell’azoto e monossido di carbonio). Controllando la quantità di stress ossidativo attraverso la giusta pressione ambientale di trattamento, durata della singola seduta, numero di trattamenti, associazione con antiossidanti si riesce a indurre nella cellula una risposta difensiva con l’attivazione dei geni che promuovono la sintesi di scavenger (“spazzini”) dei radicali liberi e anche di mediatori (Hypoxia Inducible Factors – HIF e Vascular Endothelial Growth Factor – VEGF) che, tra le altre funzioni, reclutano cellule staminali vasogenetiche, le indirizzano nella sede di lesione e ne facilitano la maturazione in cellule mesenchimali (mature).
Secondo uno studio pubblicato dall’American Journal of Physiology Hearth and Circulation Physiology in aprile 2006, un normale trattamento di ossigeno iperbarico aumenta di otto volte il numero di cellule staminali circolanti nel corpo del paziente. Tali chiamate anche “progenitrici” sono cruciali per al riparazione del danno. Le cellule staminali si trovano nel midollo spinale degli esseri umani e degli animali e sono in grado di cambiare la propria natura per diventare parte di tessuti e di organi diversi. Tali cellule si muovono, in risposta al danno, dal midollo spinale ai siti danneggiati dove si differenziano in cellule che assistono il processo di guarigione. Il movimento o la mobilizzazione delle cellule staminali – oltre ai trattamenti di ossigeno iperbarico – può essere scatenato da un’ampia gamma di stimoli, compresi gli agenti farmaceutici. L’ossigeno iperbarico, a differenza di molti farmaci, ha meno effetti collaterali.
“Questo è il modo più sicuro di aumentare la circolazione di cellule staminali, molto di più di qualsiasi altra alternativa terapeutica”, ha dichiarato il professore Stephen Thom, della Scuola di Medicina dell’Università della Pennsylvania. Il professore ha aggiunto che “tale studio fornisce informazioni sui meccanismi fondamentali degli effetti dell’ossigeno iperbarico e offre un nuovo approccio teorico terapeutico sulla mobilizzazione di cellule staminali”.
“Abbiamo riprodotto le osservazioni, effettuate sugli esseri umani, negli animali per identificare il meccanismo di azione dell’ossigeno iperbarico – ha spiegato Thom – e abbiamo così scoperto che questa terapia mobilizza le cellule progenitrici o staminali perché aumenta la sintesi di una molecola chiamata “monossido di azoto o ossido nitrico” nel midollo osseo. Si pensa che tale sintesi attivi degli enzimi che mediano il rilascio di cellule staminali”.
Dal 2006 al 2015 numerose ricerche hanno confermato queste osservazioni e dimostrato l’efficacia della ossigenoterapia iperbarica nel controllo delle infezioni, della infiammazione, nell’innesco della neoangiogenesi, nella riparazione tessutale delle ulcere cutanee, nella osteogenesi, nel facilitare le terapie oncologiche (chemioterapia, radioterapia). Ulteriori ricerche permetteranno di fornire evidenze scientifiche sull’utilizzo della terapia iperbarica in vulnolgia (riparazione delle ulcere cutanee); oncologia; traumatologia (in particolare connessa allo sport) e neurologia.
La ossigenoterapia normobarica (a pressione ambiente) e l’ossigenoterapia distrettuale impropriamente definita “iperbarica” sono altra cosa rispetto alla ossigenoterapia iperbarica. L’ossigeno normobarico non normalizza la sintesi del monossido di azoto in presenza di fattori di compromissione e, quindi, non innesca i benefici sopra descritti. L’ossigeno “iperbarico” distrettuale ha azione locale, non sistemica e non attiva la sintesi del monossido di azoto.
…sperando di dissolvere la confusione e i diversi falsi miti relativi all’ossigenoterapia, in particolare quella iperbarica.
Klarida Hoxha, infermiera
Centro iperbarico Ravenna
email k.hoxha@iperbaricoravenna.it
Bibliografia
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