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Intervista a Vanessa, infermiera innamorata dell’Africa

Vanessa Bove, coordinatrice infermieristica, socia operativa del CIVES e referente dell’associazione AVIAT onlus per la regione LAZIO, ci racconta del suo percorso professionale e del servizio di volontariato come infermiera che l’ha portata in Africa. “La presenza degli infermieri europei, laggiù, è vista come la speranza concreta di poter vivere meglio”, ci dice in un’intervista esclusiva.

Se potesse descriversi solo con un pugno di aggettivi… Vanessa Bove come presenterebbe sé stessa?

Brillante ,audace , vivace, ragionevole, sensibile, dolce, altruista, folle/spericolata.

Sei un’infermiera… parlaci in breve del tuo percorso.

Ho 31 anni, sono laureata da ormai quasi 6 anni in infermieristica ed ho conseguito due master: il primo in coordinamento delle professioni sanitarie e il secondo in ‘emergenza e area critica’. Appena laureata, ho iniziato la mia esperienza professionale lavorando nel servizio di emergenza territoriale ‘Ares 118’ della regione Lazio, attraverso la ‘Misericordie’ e ‘CRI’; poi mi sono dedicata ai servizi di assistenza domiciliare ad alta intensità assistenziale, ossia il servizio denominato ‘ADIAI’.

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Successivamente ho avuto l’incarico di coordinare le attività degli operatori impegnati nelle varie assistenze sul territorio. Così oggi coordino circa 40 assistenze su Roma, 15 a Rieti, 14 a Lecce e 5 a Frosinone, con un numero all’incirca di 250 operatori tra infermieri, operatori socio sanitari, fisioterapisti, logopedisti e medici.

Sono anche iscritta come socia, attivamente operativa, al ‘Cives’.

Amo il mio lavoro, amo il contatto con le persone bisognose e ho sempre fantasticato di fare esperienze in associazioni come AVIAT. Lo scorso anno sono stata in vacanza in Kenia e vedere gli occhi di quelle persone, di quei bambini, ha alimentato in me ancor di più la voglia di fare qualcosa di importante per loro. Così ho iniziato quello che è e sarà un lungo cammino…

…Un cammino che ti ha permesso di osservare realtà tanto lontane e di portare ciò che sai e che sei in uno dei posti più poveri del mondo. Raccontaci del tuo servizio in Africa.

Le  missioni AVIAT sono principalmente rivolte a medici e infermieri, con l’intento di donare assistenza e cure gratuite agli abitanti del Togo; stato, questo, dove tutta la sanità è a pagamento. Io ho svolto il mio servizio dalle 8 di mattina fino a tardo pomeriggio (alle 18 fa buio), prevalentemente presso il centro sanitario ‘Maison des Anges (Casa degli Angeli) che serve il quartiere Keguè nella capitale, inaugurato nel marzo 2013.

In questo centro abbiamo allestito vari ambulatori: oculistico, ginecologico, internistico, una piccola saletta di degenza, una farmacia e un ambulatorio dentistico. Dal 2016 è stato allestito anche un laboratorio di ottica per la costruzione di occhiali!

L’infermiere, in Africa, è una specie di ‘piccolo medico’: visita, prescrive farmaci ed esami; effettua addirittura interventi di piccola chirurgia che per loro sono ad esempio appendicite ed ernia inguinale; l’infermiere effettua anche l’assistenza necessaria durante il parto.

Qual’era la tua giornata ‘tipo’, laggiù?

Mi recavo negli ambulatori, dove trovavo ad aspettarmi tante persone in attesa di essere visitati da ‘un bianco’. Quindi ‘visitavo’, se così posso dire, parecchi pazienti accorsi con patologie importanti come TBC diagnosticata, anemie severe, polmoniti, problemi addominali, traumi al ginocchio con infezione, ferite con infezione al malleolo, sospetti infarti, tachicardie sotto trattamento e altri problemi cardiaci, febbri tifoidee, oltre a dolori e traumi vari. A quasi tutti i pazienti eseguivamo esami ematici, somministravamo dei farmaci e, se era necessario, consigliavamo il ricovero.

Ma non rimanevamo solo a Keguè … Ricordo due giorni particolarmente intensi: sveglia all’alba, caffè sbrigativo e, dopo aver caricato la macchina con tutto il materiale sanitario, siamo partiti alla volta di Togoville.

Il primo giorno, a parte un’ora e mezza di strada asfaltata, è trascorso tutto in viaggio su piste di terra rossa, decisamente poco livellate. Il secondo giorno, dopo aver raggiunto la località di Agbodrafo, abbiamo  preso un lungo sentiero che ci ha portati nei pressi del lago di Togoville, dove abbiamo preso una piroga per attraversarlo; siamo così giunti presso il nuovo Centro Medico, dove abbiamo trovato moltissimi altri poveri pazienti pronti per essere visitati e curati. Tutti lì ad aspettarci, con svariate patologie (diabete, malattie cardiache, malaria, febbri tifoidee, ecc.) e varie medicazioni da effettuare. Era disponibile anche un servizio oculistico e uno odontoiatrico, grazie alla dott.ssa Stefania Batani ed al dott. Roberto Di Leo che saluto e che ci tengo a ringraziare.

Ricordo anche quando ci siamo recati all’ospedale zonale ostetrico ginecologico di Bé, dove abbiamo visitato i vari reparti. Non potrò mai dimenticare cosa hanno visto i miei occhi nella terapia intensiva neonatale di quel nosocomio… In un lettino, pieno di ruggine, era possibile trovare 3/4 bambini uno attaccato all’altro; magari con sondini,  diversi accessi venosi e terapie infusionali in atto. Per la fototerapia venivano create culle di fortuna con delle lenzuola sistemate come una tenda canadese. I cestelli porta flebo erano fatti con del filo di ferro arrugginito.

Il sabato e la domenica non facevamo ambulatorio. Così una volta ci siamo recati in visita a Notse, nei villaggi situati sugli altopiani nel nord. Gli abitanti del luogo ci hanno accolto con molto entusiasmo e sono stati felicissimi di trascorrere del tempo con noi. Abbiamo donato ai bambini quaderni, colori, penne, vestiti, qualche palloncino, caramelle e, per ringraziarli della loro accoglienza, ci siamo divertiti con loro ballando e cantando.

Sono state giornate, queste, che ci hanno davvero riempito il cuore di gioia.

Siamo stati anche a Kpalimé, presso una casa famiglia che accoglie molti bimbi orfani. Tra le varie attività, abbiamo anche effettuato screening della vista ai bambini, utilizzando una semplice metodica che abbiamo poi insegnato agli stessi volontari della struttura: in questo modo potranno rilevare precocemente eventuali problemi di vista e, per quanto possibile, intervenire tempestivamente. Perché oltre a svolgere le nostre attività, laggiù abbiamo fatto anche tanta formazione, sia per il personale sanitario locale sia per i pazienti. I temi? Indicazioni per facilitare le visite, ma soprattutto… come preservare l’igiene.

Chi è e come è visto dagli abitanti del Togo un infermiere europeo che si reca nella loro terra per aiutare?

Chi è? È una persona con tanto senso dell’altruismo. Che, con la sua professionalità, cerca di alleviare le sofferenze di quei popoli. La presenza degli infermieri, laggiù, è vista come la speranza concreta di poter vivere meglio.

Il tuo profilo Facebook straripa, oltre che dei tuoi sorrisi, di immagini molto belle scattate coi bimbi africani… descrivici con le parole, se puoi, le emozioni che Vanessa, portatrice di cura e di speranza, prova in quei momenti.

Nonostante io fossi arrivata psicologicamente già preparata, l‘impatto reale con quella terra è stato molto toccante. Non è facile descrivere le emozioni e le sensazioni che si provano stando a contatto con quelle persone. Non è facile descrivere quegli occhi pieni di speranza. E, soprattutto, non è facile spiegare quello che si prova nel guardare gli occhi dei bambini. Ti regalano dei sorrisi che ti riempiono il cuore di gioia; ti trasmettono, con una semplice carezza, un calore che neppure il sole può arrivarti a dare.

È tutto un insieme di forti emozioni, che ti fanno capire quanto noi, seppur  fortunati, siamo vittime del nostro stesso benessere ed abbiamo forse perso il vero senso della vita… loro mi hanno dato una grande forza per affrontare il mio futuro e la voglia di fare di più e sempre meglio.

Tornerai sicuramente in Africa… Cosa consigli ai colleghi che pensano di avvicinarsi ad un servizio di volontariato come il tuo? A chi possono rivolgersi per ricevere tutte le informazioni del caso?

Ci tengo a sottolineare una cosa. Una cosa che mi ha sorpresa e sulla quale, in realtà, avevo molti dubbi. Parlo dell’onestà di tante associazioni che operano per dare una speranza a favore di quei popoli. Credevo che, delle tante donazioni effettuate, solo in parte raggiungessero veramente i bambini e i poveri. Beh… ho dovuto ricredermi: posso dire, felicemente, che mi sbagliavo! Perché tutto, e sottolineo TUTTO, viene investito ed utilizzato per loro. L’ho visto io con i miei occhi.

Tornando ad AVIAT… noi portiamo un servizio sanitario di buon livello a chi in Togo non può accedervi; ovvero ai poveri per i quali la sanità è un lusso che non si possono concedere. Quindi permettiamo l’accesso ad un diritto fondamentale dell’uomo , quello alla cura e alla salute, che nelle realtà sociali africane non è per niente garantito. Poi trasferiamo le nostre conoscenze e formiamo figure professionali in loco, così da educare i popoli a sviluppare un certo grado di autonomia. Noi instauriamo rapporti con quella gente, con quei bambini e con quei posti… amando l’Africa.

Ai colleghi interessati a tutto ciò… consiglio di visitare il sito www.aviatonlus.it. Oppure, visto che al rientro qui in Italia sono stata nominata referente AVIAT per la regione LAZIO, è possibile anche scrivere direttamente a me via email a vanessabove@libero.it   e vanessa.bove@arcassistenza.it .

“AIUTATECI AD AIUTARE!“

“FACCIAMO QUALCOSA PER CHI E’ MENO FORTUNATO!”

“ANDIAMO A CRESCERE!”

La professione infermieristica è sottovalutata, poco riconosciuta e per certi versi anche perseguitata (vedi i vari attacchi dei media). Secondo te, Vanessa… quale sarebbe la chiave di volta per crescere davvero? Competenze avanzate? Più formazione? O… un controllo reale del fenomeno del demansionamento, purtroppo sempre più diffuso?

Le conoscenze avanzate ci sono e ce ne saranno. La formazione c’è. Non sono questi, a mio avviso, i problemi degli infermieri. Il dramma di non essere valorizzati e riconosciuti come veri professionisti, ahimè,  sta proprio nella piaga professionale del demansionamento.

E poi (altro punto drammaticamente importante) c’è, purtroppo, il fatto che non siamo una categoria compatta e ci vendiamo per troppo poco. Per una reale crescita della professione dovremmo finalmente unirci tutti contro il demansionamento!

Ci tengo a terminare quest’intervista, per cui ringrazio Nurse Times, con un nobile pensiero. Il pensiero di una nostra cara, vecchia conoscenza:

l’assistenza infermieristica è un’arte; e se deve essere realizzata come un’arte, richiede una devozione totale e una dura preparazione. Come per qualunque opera di pittore o scultore; con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano il tempio dello spirito di Dio. È una delle belle arti. Anzi, la più bella delle arti”. (Florence Nightingale. Una and the Lion, 1871).

Complimenti per il tuo percorso, per il tuo spirito, per la tua incontenibile voglia di aiutare e per i sorrisi che hai scelto di regalare, cara Vanessa.

Alessio Biondino

Redazione Nurse Times

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