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Intervista a ‘Raffo’, infermiere più veloce del mondo

Si chiama Raffaello ‘Raffo’ Baitelli, Ha 48 anni, è un infermiere dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo ed ha fatto il pieno di medaglie ai ‘Medigames’. Noi di Nurse Times lo abbiamo intervistato

Dal 28 maggio al 4 giugno, si è svolta a Maribor (Slovenia) l’edizione numero 37 dei Medigames, una sorta di olimpiade per professionisti sanitari (medici, infermieri, veterinari, dentisti, tecnici, amministratori). Ed un infermiere di 48 anni, dipendente dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, sposato e papà di 3 figli, ha fatto un’autentica ‘razzia’ di medaglie per quanto riguarda l’atletica leggera. Ma non solo. Raffaello Baitelli, questo il suo nome (anche se è conosciuto da tutti come ‘Raffo’), ha infatti vinto, nella categoria ‘C’ della manifestazione (dai 45 fino ai 54 anni), la medaglia d’oro nei 200 metri, nei 400 metri e nella staffetta 4×100; medaglia d’argento nei 100 metri e bronzo nel lancio del disco, del peso e del martello; quarto posto nel lancio del giavellotto; e anche una medaglia d’argento nei 100 metri stile rana.

Beh… non appena ho letto di questo autentico trionfo su l’Eco di Bergamo, non ho potuto fare a meno di cercare il dottor ‘Raffo’ nei meandri del web e di intervistarlo per Nurse Times.

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So che sei tornato a casa con un bel po’ di medaglie… e che sei l’infermiere più veloce che ci sia. Da dove viene tutta questa voglia di correre e di gareggiare?

Nasco come uomo di sport, a 5 anni per motivi di salute inizio a nuotare, a 8 già a gareggiare. Poi cambio varie discipline sportive fino ad arrivare a 38 anni, età in cui inizio a praticare atletica da master. È un percorso senza interruzioni, insomma. Ho l’agonismo nel sangue, nel Dna e finalizzo tutto alla prestazione. sono sempre stato un trascinatore, per i miei compagni; se non davo tutto non ero contento. Perciò diciamo che è nel mio Dna. Ora, a 49 anni, ho la voglia di un ragazzino che straripa all’interno di un corpo un po’ più datato; anche se, ci tengo a sottolinearlo, dimostro molti anni in meno.

Alla soglia dei 50 anni di età, la tua prestanza fisica può fare invidia a quella di molti atleti ventenni. Qual è il tuo segreto?

Nulla arriva per caso. Vita sana e regolare, il più possibile, niente ‘happy hour’, poche cene al ristorante,  tanto allenamento costante. E poi non bevo, non fumo, mi alimento in modo sano, (senza esagerare, però: se voglio una coca o una birretta me la faccio comunque!) mangio dissociato, uso tanta frutta e verdura, controllo costantemente il mio peso e con l’età ho diminuito man mano i lievitati (pane, ecc.).

Tutto questo mi permette di essere sempre in forma (sono alto 1.86 e peso 80 kg), calcolando che ho avuto anche la fortuna di non subire mai infortuni seri. Ti assicuro, però, che non è assolutamente un sacrificio seguire questo stile di vita… sto semplicemente bene. Una volta si diceva ‘casa e chiesa’; io dico ‘casa, chiesa e campo di allenamento’.

Sei un infermiere e, come tale, un educatore sanitario. Quanto c’è di questa tua passione per lo sport, all’interno dei consigli che distribuisci quotidianamente per guarire e per rimanere in salute?

Sono anche istruttore federale di atletica leggera, alleno nella mia società ‘Atletica Valle Imagna’ e a tutti, colleghi e pazienti, consiglio una vita sana e almeno 2-3 allenamenti alla settimana. Ognuno in base alle proprie capacità, ovviamente, ma è importante che siano costanti. So che corro il rischio di essere monotematico, ma lo sport mi sprizza da tutti i pori; non posso farci niente!

Parlo spesso dei miei allenamenti sul lavoro, cerco di essere un salutare esempio da seguire; con chi me lo chiede, condivido delle tabelle di allenamento e strategie alimentari. Mi capita spesso di interagire con persone in sovrappeso, anche piuttosto giovani, che non fanno sport e abusano di cibo e alcolici. Cerco costantemente di metterli in guardia circa i problemi che potranno incontrare con l’avanzare dell’età (ipertensione, diabete, cardiopatie ecc.) e a volte i miei moniti… hanno successo.

Sei un lavoratore turnista ed un padre di famiglia. È facile incastonare questa tua passione per lo sport, fatta di sacrifici e di tanti allenamenti, all’interno della vita di un infermiere e di un papà? Come ci riesci?

Diciamo che a volte è faticoso. Ho tre figli (adesso sono grandi: 24, 16 e 14 anni), faccio l’allenatore, l’animatore in oratorio ed il marito. Nella vita dei miei figli, però, posso dire di essere sempre stato presente. Gli orari lavorativi di un turnista, infatti, non sono solo una maledizione e a volte aiutano anche, nella gestione di una famiglia. Basta solo fare gli incastri giusti. Famiglia, la mia, che comunque mi ha sempre supportato e capito: i miei cari sono tutti orgogliosi dei miei risultati (quello dei Medigames è solo l’ultimo di una lunga serie iniziata nel 2006) ed il fatto che anche mia moglie e mia figlia grande siano infermiere, mi aiuta non poco ad essere ‘compreso’.

Parlando della mia vita in ospedale, non svolgo neanche un’attività particolarmente ‘leggera’: lavoro in chirurgia di trapianto fegato-polmone, epatopatica-pancreatica, toracica, oncologia avanzata Hipec e gestiamo anche i politraumi. Lo faccio da 27 anni. Diciamo che… sì, sono decisamente bravo ad ottimizzare il tempo! Volere è potere…

La nostra professione sta verosimilmente attraversando una crisi di identità: demansionamento e sfruttamento (VEDI) la ‘alterano’ oramai ovunque, le aziende ci stanno gradualmente sostituendo con gli OSS in molte delicate realtà (VEDI), i media non perdono occasione per ‘distruggerci’ (VEDI caso La7); ma allo stesso tempo si parla di ‘competenze avanzate’ (VEDI). Cosa ti aspetti dal futuro della professione infermieristica?

Io ho la fortuna di lavorare in un ospedale ad altissima specialità (forse il più grande d’Italia), con una qualità del lavoro molto alta. Ma in generale penso che stia a noi svegliarci dal torpore che ci attanaglia e lottare per riconquistarci un posto al sole. Il problema vero è che a volte vedo troppa ignoranza nella nostra categoria: siamo noi gli artefici del nostro futuro e, lamentandoci un po’ di meno, dovremmo ricordarlo.

Per quanto riguarda gli OSS… beh, per fortuna da noi gli OSS fanno gli OSS (con tutto il rispetto per la categoria)! Il rapporto coi medici di noi infermieri, poi, è di rispetto reciproco; una sorta di ‘ognuno al suo posto’, decisamente funzionale. Non metto in dubbio che probabilmente siamo una delle poche isole felici rimaste qui in Italia, ma la Lombardia, si sa, è il top della nostra penisola per quanto riguarda la sanità. E Bergamo, poi, è un fiore all’occhiello.

Il caso La7? Purtroppo c’è ancora troppa ignoranza, da parte dell’opinione pubblica, nei nostri confronti. La gente è rimasta al ruolo di infermiere ‘capoclistere’… Per fortuna, poi, una volta che ci conoscono e che ci vedono all’opera in reparto, gli utenti non possono fare altro che ricredersi. Come eradicare la cultura sbagliata? Beh, anche qui… sta a noi. Dobbiamo farci conoscere per quello che siamo e facciamo… che non è poco.

La tenacia che hai dimostrato, vincendo nello sport alla tua età, può essere di esempio per tutte quelle persone che, in un periodo strano come questo, non hanno più la forza neanche di porsi degli obiettivi. Cosa ti senti di dire ai molti colleghi infermieri precari, disoccupati o costretti alla libera professione per poche euro l’ora che seguono Nurse Times?

Essendo un ‘positivo’ per natura, sono convinto che se lottiamo insieme il futuro ci sorriderà. Qual è la ricetta? Studiare, farci conoscere, entrare in politica, arrivare in parlamento e una volta lì… lottare per gli infermieri! Cari colleghi, solo la crescita culturale può aiutarci, sommata alla vera consapevolezza di essere ‘dottori’ e non subordinati ad altre figure. Rispettare per farci rispettare… sempre.

Passione, sacrificio, ottimismo ed entusiasmo, quindi. Ma soprattutto… Tanta, tanta voglia di sport. Complimenti, caro collega… Il più veloce del mondo.

Alessio Biondino

Immagine: Facebook

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Redazione Nurse Times

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