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Infermieri inglesi, approvato il rinnovo del contratto collettivo pubblico

Attesa da ben sette anni, la proposta di pay deal era stata inizialmente osteggiata dalla categoria, ma è passata con una maggioranza schiacciante.

Con alcune settimane di differenza rispetto all’Italia, anche per gli infermieri dell’NHS, il servizio sanitario pubblico inglese, dallo scorso venerdì è definitivamente entrato in vigore il nuovo pay deal, il contratto collettivo di categoria.

La proposta di rinnovo, presentata a marzo dal Secretary of Health (l’equivalente britannico del nostro Ministro della Salute), Jeremy Hunt, e destinata a tutti i dipendenti dell’NHS – ebbene sì, anche nel Regno Unito gli infermieri sono inquadrati contrattualmente in un “comparto” – prevedeva incrementi salariali minimi del 6.5% e massimi del 29%, distribuiti tuttavia nell’arco di tre anni. Gli aumenti variavano poi secondo complessi meccanismi di calcolo, in relazione alle fasce retributive (band) e ai livelli di progressione, interni alle fasce stesse, delle sofisticate tabelle salariali NHS.

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Sotto gli altri profili di regolamentazione, la bozza di accordo lasciava invariata l’indennità prevista per il lavoro notturno e nel weekend (unsocial hours) e prevedeva scatti retributivi interni alla fascia non più annuali, ma pluriennali e soggetti all’approvazione del manager (più o meno corrispondente al nostro coordinatore infermieristico). In particolare, però, conservava immutato il computo annuale delle ferie, dopo che l’opposizione degli stessi negoziatori aveva impedito che gli aumenti salariali venissero compensati con il sacrificio di un giorno di “annual leave”.

Attesa da ben sette anni, nei quali politiche sanitarie di austerity simili a quelle italiane avevano fissato all’1% il tetto massimo degli incrementi retributivi, la proposta di pay deal era stata inizialmente osteggiata con vigore dalla categoria infermieristica, in quanto la maggior retribuzione prevista era considerata palesemente inadeguata, anche solo a coprire il tasso di inflazione dal 2010 a oggi e la conseguente perdita di potere d’acquisto degli stipendi pubblici.

A fomentare le discussioni social aveva pesantemente contribuito, poi, anche la posizione assunta da alcuni sindacati

, considerata, da alcuni prona alle condizioni governative, se non perfino minatoria: attraverso lettere inviate ai suoi iscritti, in effetti, sigle come l’RCN, il Royal College of Nursing, avevano preavvertito che il tavolo dei negoziati era chiuso, che quello ottenuto era “il miglior accordo possibile” e che, pertanto, in caso di rifiuto della proposta di pay deal, l’unica alternativa sarebbe stata il ritorno al pay cap, al tetto dell’1% agli aumenti salariali.

Recenti dichiarazioni, come quelle di Josie Irwin, capo negoziatore dell’RCN, sull’incapacità degli infermieri inglesi di scioperare, avevano poi ulteriormente ravvivato il fuoco delle polemiche. Insomma, per l’osservatore italiano, attento a seguire l’evoluzione degli eventi attraverso l’analisi delle discussioni social, tutto lasciava presagire un rigetto quasi unanime della proposta ministeriale e l’inizio di una stagione calda di lotte sindacali.

Nella mattinata di venerdì, invece, con un colpo di scena per molti versi deludente, ma davvero degno di un romanzo, i principali sindacati (RCN, Unison, Unite) hanno annunciato l’approvazione dell’accordo a schiacciante maggioranza (mediamente l’80%), ma con dati sulla partecipazione al voto che lasciano esterrefatti: il 30%, nel migliore dei casi.

In buona sostanza, la maggioranza della comunità infermieristica inglese si è completamente disinteressata della questione o ha approvato la proposta di rinnovo assecondando il vecchio adagio “piuttosto che niente, piuttosto”. Paiono vuote oltre che tardive, a questo punto, le proteste sollevate da una parte della categoria sui gruppi Facebook.

Intanto, nelle ore immediatamente successive all’approvazione del pay deal, anche il primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, ha annunciato un aumento immediato del 3% per tutti i dipendenti dell’NHS in Scozia.  Resta da vedere, ora, se gli incrementi retributivi saranno in grado di frenare la fuga degli infermieri britannici, che a migliaia, negli ultimi anni, hanno abbandonato la sanità pubblica per passare a quella privata e, in alcuni casi, hanno perfino lasciato la professione.

Luigi D’Onofrio

 

Redazione Nurse Times

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