Infermieri

Infermiere di famiglia, Nursing Up: “L’Italia arranca”

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a cura del presidente nazionale del sindacato, Antonio De Palma.

A che punto è in Italia il piano di rilancio della sanità territoriale, percorso indispensabile per decongestionare gli ospedali e garantire assistenza diretta ai cittadini, alle famiglie, agli anziani, ai soggetti fragili, al di fuori delle strutture sanitarie pubbliche? Ce lo siamo chiesto noi di Nursing Up, che consideriamo, oggi più che mai, come fondamentale, la figura dell’infermiere di famiglia e comunità

Abbiamo voluto provare a comprendere in che modo le Regioni stanno inserendo questi infermieri, il cui ruolo è garantito da una legge, quella del 17 luglio 2020 n. 77, che ne sancisce il riconoscimento ufficiale. La risposta, anche rispetto a quanto sta accadendo negli altri Paesi europei, è estremamente negativa e delinea ancora una volta un quadro desolante, con l’Italia che arranca rispetto ad altre nazioni, soprattutto in tema di rilancio di quella sanità di prossimità, che non può certo avvenire senza il concreto inserimento dell’infermiere di famiglia in strutture e con percorsi organizzativi idonei ad accogliere e valorizzare le sue competenze, le capacità che offre al servizio verso la collettività, certamente non solo legate all’assistenza domiciliare. 

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I fatti parlano chiaro: nel giro di dieci anni circa 8 milioni di anziani, nel nostro Paese, avranno almeno una malattia cronica grave. Viaggiamo quindi verso un lento e inesorabile invecchiamento della nostra popolazione. Ed è anche per far fronte alle necessità di questa fascia di popolazione estremamente fragile, che nasce la figura dell’infermiere di famiglia e comunità.

Si tratta di un professionista di riferimento che assicura la presenza dell’infermiere nei vari servizi di assistenza e cura presenti sul territorio, operando in collaborazione con il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta, il medico di comunità e l’equipe multi-professionale. La presenza dell’infermiere di famiglia e comunità, lo sottolineiamo da mesi nelle nostre campagne stampa, deve necessariamente diventare più capillare attraverso la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Secondo gli standard dovrà esserci un infermiere di famiglia e comunità ogni 2-3mila abitanti. 

Ma in Italia siamo pronti a tutto questo? A che punto siamo oggi? Riusciremo a raggiungere questo obiettivo? Purtroppo l’infermiere di famiglia è ancora un miraggio da Nord a Sud. Il nostro Ssn è ancora alle prese con una grave carenza di personale, che genera  turni massacranti, specie in ospedali e pronto soccorsi: Regioni e Asl, ovunque, sono in pauroso ritardo rispetto alle necessità della popolazione.

Si rimane così ingabbiati in una ragnatela di problemi che diventano sempre più gravi.  Non si riesce ad uscire dal tunnel di una crisi che vede la sanità pubblica arrancare e quella di prossimità che stenta del tutto a ripartire.  I dati negativi sono schiaccianti. Oggi ci sono circa 3mila infermieri di famiglia e comunità in servizio su tutto il territorio nazionale, ma ne servirebbero almeno 25/30mila secondo gli standard indicati per il Pnrr. 

La nostra sanità è malata. Il servizio sanitario appare sempre più incapace di svolgere in autonomia le sue funzioni, mentre i cittadini sono destinati a vedere la salute sempre più condizionata dalla loro situazione economica: semplicemente chi ha soldi si cura tempestivamente, chi non li ha si mette in lista d’attesa.  Ma i paradossi non sono certo finiti qui. Non c’è solo il problema del mancato rispetto degli standard legati al fabbisogno dell’infermiere di famiglia che ci preoccupa, laddove altri Paesi Europei, come la Spagna, hanno già messo in atto concreti piani di rilancio e corrono veloce. 

In terra iberica, da mesi, tutto questo è infatti possibile perché la sanità territoriale si sta “rafforzando e consolidando”. Il personale infermieristico svolge un ruolo chiave attraverso i processi avviati sia per aumentare la forza lavoro del sistema sanitario, sia per ridurre l’occupazione temporanea. Nello specifico, delle 6.007 nuove posizioni strutturate create lo scorso anno, il 35 percento è nell’infermieristica ed è destinato al Primary Care

Ai fini pratici, l’introduzione di quote specifiche in infermieristica significa che lo stesso infermiere accompagnerà i pazienti a loro assegnati in tutte le fasi della loro vita, come avviene ora con la medicina di famiglia. Inoltre gli infermieri iberici sono e saranno sempre più in grado di sviluppare attività di promozione della salute e prevenzione nella comunità.

Qui da noi sembra invece essere in atto un singolare programma politico, che mostra una evidente incapacità, o mancanza di volontà, nel risolvere il problema in modo diretto. Si cercano soluzioni alternative, talvolta con il rischio concreto di peggiorare la situazione. Non si dimentichi che con il Decreto Milleproroghe abbiamo compiuto un ulteriore passo indietro, con la conferma, ad esempio, di norme tampone varate, inizialmente, per affrontare l’emergenza Covid.

E’ il caso delle assunzioni di infermieri stranieri senza i necessari titoli di studio e requisiti professionali, e con scarsa conoscenza della lingua, e con deroga per la prevista iscrizione all’albo fino al 31 dicembre 2025. La conseguenza è che, per esempio nelle nostre Rsa e case per anziani, si trova ad operare  anche personale infermieristico la cui conoscenza dell’italiano non è sottoposta a controlli di nessun tipo, e talvolta con titoli di studio non equiparati a quelli dei nostri professionisti. 

Insomma, almeno sino ad ora, in Italia  non si è stati in grado di costruire un piano di inserimento capillare degli infermieri di famiglia, e ciò accade a discapito della qualità delle prestazioni offerte ai cittadini. Ma i nostri spunti di riflessione non finiscono qui, perché le Regioni, su indicazione del Ministero della Salute, intendono ora creare “un nuovo profilo di interesse sanitario”, come lo definisce una bozza di accordo in itinere.

Sia chiaro che noi, per principio, non siamo certo contrari all’individuazione di nuove professionalità in un sistema, quello sanitario, fluido per sua natura, ma ci sembra evidente che contemporaneamente, ci si debba preoccupare della tenuta in equilibrio dell’intero sistema.

Insomma, laddove si procedesse alla creazione di profili nuovi, e quindi non ricompresi tra quelli dei professionisti sanitari ex Legge 42/1999, occorre dall’altra parte delineare, e fornire al sistema, in maniera coeva, strumenti innovativi, linee guida e strategie organizzative che siano in grado di dare impulso ad un differente e ottimale  impiego delle complesse e articolate conoscenze e competenze proprie delle professioni sanitarie ed infermieristiche ex Legge n 42/1999.

Tutto questo, noi del Nursing Up lo consideriamo indispensabile, se si vuole procedere, come propongono le regioni, ad attribuire ai creandi profili “di interesse sanitario”, una parte di attività che la prassi vede oggi svolta dai professionisti ex Legge 42/1999, e se si vuole che finalmente tali professionisti  sanitari ex Legge 42/1999 possano essere impiegati in un più ampio e qualificante alveo di funzioni e responsabilità, beninteso compatibili con le loro elevate potenzialità, e sempre in risposta alle esigenze che discendono dalla quotidiana evoluzione dei bisogni assistenziali della collettività.

Redazione Nurse Times

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