Molti Infermieri, in passato innamorati della professione, iniziano ad avere qualche ripensamento.
In passato diversi professionisti, a causa della disoccupazione, del demansionamento e del precariato, hanno preferito optare per un ripiego come camerieri in bar o ristoranti. Oggi parleremo con Giuseppe (nome di fantasia) che, dopo molte disavventure, ha preferito diventare un operaio in fabbrica.
Riportiamo di seguito l’intervista rilasciata per Nurse Times:
Mi sono laureato 3 anni fa. Se devo dirla tutta pensavo che fare l’infermiere non mi sarebbe mai potuto dispiacere. Non ho mai realizzato bene come sia finito a fare quell’universita. Per trovare un buon lavoro e ben remunerato, ho dovuto percorrere 1300 chilometri andandi a finire in Inghilterra.
Una volta tornato in Italia, quello che avrebbe dovuto essere il buon lavoro a 10 minuti da casa, con un buon stipendio, mi stava per mandare sull’orlo di un esaurimento nervoso . Dopo soli 2 mesi ho preferito non rinnovare il contratto.
Ho iniziato questa riflessione dicendo che alla fine fare l’infermiere non mi dispiacesse affatto. Esatto, fare l’infermiere mi piaceva e uso un tempo verbale passato. Una volta tornato a lavorare in Italia non ho più tollerato la considerazione sociale della quale “gode” l’infermiere.
Una laurea, un anno di esperienza all’estero in terapia intensiva buttate nel cesso in due mesi in Italia. Due mesi di frasi e battutine continue del tipo:
Senza considerare parenti che, dopo 40 giorni di ricovero, non hanno ancora capito chi sia l’infermiere e chi l’oss. Pazienti ai quali, alla fine dei tuoi esami di farmacologia o del tuo corso di laurea non gliene frega niente. L’importante é che quando suonano il campanello tu sia pronto a cambiare il pannolone.
Tutto ciò condito da turni massacranti nei quali alterni notti a mattine e weekend a lavoro e mai una festività a casa. Ora, per fare un lavoro del genere devi avere una propensione al prenderti cura del prossimo che superi tutte le cose descritte in precedenza.
Non venite a dirmi che a fine giornata il sorriso di un paziente valga più di tutto ciò. L’infermiere non é un missionario tanto meno un buon samaritano. È un professionista sanitario laureato pari alle altre figure professionali.
Io per non vivere più quell’umiliziazione personale dettata dalla considerazione che aveva la gente (anche quella più vicina a me) della mia professione ho cambiato tutto. Sono andato a lavorare nell’azienda di famiglia.
Non é facile, anzi é molto più faticoso ma é molto più stimolante e bello che farsi dare del “lavaculi“. Ma grazie, grazie a voi che, anche senza volerlo mi avete umiliato. Grazie a voi ho chiesto a mio padre di assumermi. Prima non mi ero mai posto il problema di lavorare in fabbrica anzi, da ragazzo avevo sempre detto che avrei fatto la mia strada e che li non sarei mai andato a finire.
E ora non chiamatemi più infermiere, che dal momento che non ho più pagato la tassa all’albo professionale io per lo Stato italiano non sono un infermiere.
Abbiate sempre il massimo rispetto per chi svolge questa professione. Mentre noi siamo a casa al caldo a dormire loro stanno aiutando qualcuno. Proprio come tutti gli altri giorni.
Il pensiero di Giuseppe è sicuramente condivisibile per molti aspetti. Chiunque voglia rispondere al collega potrà farlo contattando la redazione di Nurse Times (redazione@nursetimes.org).
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