Da infermiera a paziente, cambia tutto quando ci si trova dall’altra parte del letto. E’ accaduto il 22 aprile scorso ad una collega che mentre era in servizio presso un ospedale pugliese, accusava un malore. La donna era ancora in divisa, quando è stata accompagnata da un EX dipendente (in pensione) del nosocomio, al pronto soccorso, per una metrorragia. Viene dirottata immediatamente in ginecologia. Da quel momento l’infermiera diventa una paziente e vive per un’intera giornata l’operato delle colleghe sulla sua pelle, riscontrando ciò che non si sarebbe mai aspettata.
“Mi vergogno di essere infermiera – ha detto la donna che ora sembra abbia superato i problemi di salute – per anni ho lavorato in vari reparti ospedalieri, con l’unica passione di mettere al centro del mio operato la persona che soffre, sono profondamente delusa e arrabbiata nel constatare che quanto viene spesso lamentato dagli utenti sia vero, ossia la superficialità da parte di alcune infermiere nell’assistere il paziente”.
Ma andiamo con ordine: dal pronto soccorso (situato al piano -1), la donna raggiunge verso le 10.30 il reparto ginecologico con una sedia a rotelle presa (sempre dall’accompagnatrice) dal punto di raccolta, situato al piano terra di fianco al laboratorio analisi, distante dal pronto soccorso. Arrivata nell’ambulatorio della sala parto, la donna viene gestita immediatamente dal medico di turno, il quale decide di ricoverarla, mettendo per iscritto tutto ciò che doveva essere fatto.
Così la paziente viene mandata nell’ambulatorio dove vengono fatti prelievi ed accettazione di ricoveri programmati il quale é sprovvisto di aghi cannula, perranto è stato effettuato solo il prelievo e l’elettrocardiogramma.
Ma andiamo avanti: “nella camera dove vengo ricoverata – continua l’infermiera – si trovava una ragazza che dalle nove del mattino, aspettava qualcuno che le preparasse il letto, mentre per me, ci hanno pensato l’accompagnatrice e mia cugina”.
Intanto la donna ricoverata continuava a perdere sangue e per questo chiedeva tramite la sua assistente, un pannolone, visto che le colleghe infermiere non si erano ancora viste! Peccato però che l’assistente si senta rispondere dal personale del reparto, che se fosse stata presente la caposala le avrebbe detto che non si trovava al supermercato per fare tale richiesta! Comunque avrebbero fatto un’eccezione concedendole il pannolone.
“Nel frattempo – racconta la donna – era arrivata l’ora di pranzo e la ragazza ricoverata nella stessa stanza, ancora attendeva l’arrivo delle infermiere per vedere il letto fatto, (così come io ero in attesa di un accesso venoso e di una terapia antiemorragica). Si è visto qualcuno solo quando sono venute delle infermiere a prendere i vassoi del vitto e si sono chiuse nella stanza accanto alla nostra, per pranzare. Intorno alle ore 13.30 vengo raggiunta da un infermiera che avevo contattato tramite la mia accompagnatrice, spiegandole la situazione, la collega mi ha immediatamente preso l’accesso venoso e messo la terapia prescritta dal medico al momento del ricovero (notate che ho dovuto raccomandarmi per una procedura di routine!).
Intanto la mia vicina di letto riesce finalmente ad avere (contemporaneamente) le lenzuola e il letto fatto dove potersi sdraiare (N.B. dopo quattro ore e mezza d’attesa). E se non avessi allertato la collega? CAMBIO TURNO! E poi?”
Poi è la volta delle addette alla pulizia: “due di quelle lavoratrici appartenenti a Sanità Service (che tanto si lamentano, ma farebbero bene prima a farsi un esame di coscienza ed imparare a pulire) vengono a pulire. Una in particolare – continua la paziente – passa lo straccio nel bagno, che inevitabilmente presentava il pavimento macchiato di sangue e con lo stesso straccio, lava in camera vicino ai nostri letti. A quel punto non ci ho visto e ho gridato che non stava facendo bene il suo lavoro, soprattutto non stava disinfettando nulla, anzi stava trasportando sangue dal bagno alla stanza, senza preoccuparsi di cambiare straccio e acqua”.
C’è poi il momento della visita. Un’infermiera grida il nome della paziente affacciandosi sul corridoio (PRIVACY? ZERO!) che, sempre sulle proprie gambe, deve presentarsi nello studio medico. “Non ho mai sentito chiedere se avessi bisogno di un aiuto per alzarmi, viste le mie condizioni. UMANITA? ZERO! – Qui – continua la donna – la mia delusione di essere un infermiera dipendente di questo ospedale – Su quattro turni non ho avuto il piacere di avere lunghi dialoghi con le infermiere, anzi, i minuti più lunghi gli ho trascorsi mentre un’infermiera mi accompagnava (a piedi) dal reparto, nella sala parto. Per fortuna che il ritorno me lo hanno fatto fare in barella! Ero fisicamente debole da non prendere la decisione di firmare ed andarmene, mentalmente però ero lucida sufficientemente da memorizzare tutto! Potrei continuare a scrivere ancora tanto eppure sono state solo 24 ore.”
Questa ulteriore testimonianza ricevuta da un’infermiera diventata paziente in seguito ad una metrorragia deve far riflettere sulle modalità operative che adottiamo che, a volte possono risultare errate a causa di negligenza o a causa di impossibilità a svolgere correttamente il nostro lavoro per le carenze organizzative mentre altre volte possono essere mal interpretate da che assistiamo.
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