Il sonno indica uno stato di riposo fisico e psichico opposto a quello della veglia, nonché un distaccamento temporale sia della coscienza che della volontà della persona, configurandosi come un processo fisiologico che coinvolge sia il sistema nervoso centrale che quello autonomo. Per svegliarsi, solitamente, è necessario uno stimolo sensoriale al fine di far terminare lo stato di riposo.
Il sonno è diviso in due fasi fondamentali: la fase non REM e la fase REM. La fase non REM si divide a sua volta in S1, S2, S3 e S4. Le prime due sono caratterizzate dal sonno leggero, nel quale vi è un movimento oculare lento, oscillatorio e in particolare roteante nell’S2. Successivamente, nel sonno profondo, si ha un tono della muscolatura molto più rilassato, un movimento oculare assente, un’attività metabolica di glucosio e ossigeno molto bassa.
Segue la fase REM, che all’avanzare dell’età è inversamente proporzionale alla durata della fase non REM. Quindi una persona anziana avrà una tempistica della fase REM molto più lunga rispetto a un neonato. In questa fase si ha un movimento degli occhi molto rapido con una semiparalisi dei muscoli, un aumento della frequenza respiratoria, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e un utilizzo del glucosio e dell’ossigeno come se il soggetto fosse in stato di veglia.
Esistono vari disturbi del sonno, che sono suddivisi in quattro macrocategorie:
Il sonno in ospedale è alterato da tanti fattori: rumore, malattia, farmaci e dolore;
Secondo gli studi sulla qualità del sonno, le cause più frequenti di alterazione del sonno sono i rumori che alterano lo stato della persona, l’uso della terapia farmacologica, i disturbi del sonno già precedenti al ricovero, il non rispetto delle abitudini e dell’autonomia da parte degli operatori presenti, la presenza di più posti letto in una stanza, la diversità di età o anche di patologie, che possono portare a scompenso della persona, poca attenzione agli orari di esposizione di luce, di buio e di buio durante il ricovero, sensazione di discomfort a letto. Tutto questo crea un’alterazione del modello sonno/riposo e il sonno in ospedale risulta compromesso e diverso da quello abituale in quanto a durata e tempi di addormentamento.
Quali possono essere, allora, gli interventi utili per migliorare la qualità del sonno? L’utilizzo di farmaci non ipnotici, l’agopuntura, i massaggi, l’aromaterapia, la musicoterapia, la riduzione dei rumori durante i lavori di routine notturni da parte del personale, il mantenimento di un regolare orario di luce e di buio, la presenza di un caregiver per le persone anziane per il mantenimento di abitudini pregresse.
In ambito ospedaliero, la qualità del sonno sarebbe molto da migliorare, sensibilizzando il personale infermieristico sul sonno dei degenti, proponendo interventi per la gestione ambientale e promuovendo l’igiene del sonno e maggiori monitoraggio e gestione del sonno.
Anna Arnone
Sitografia
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