La pressione intracranica (PIC) è un parametro fondamentale per la valutazione della perfusione cerebrale e quindi dell’integrità fisiopatologia del circolo, per la diagnosi di alcune malattie del sistema nervoso centrale, per rilevare la comparsa di iperemia cerebrale o lesioni occupanti spazio, aiutare nella prognosi del paziente e drenare il liquido cefalorachidiano.
Normalmente la PIC viene mantenuta costante da fini meccanismi omeostatici, ma in condizioni patologiche può variare e superare valori che possono compromettere la perfusione cerebrale.
Data la sua importanza, risulta chiaro che una completa conoscenza del suo significato, della sua modalità di gestione e delle complicanze associate al suo utilizzo può determinare un miglioramento in termini di outcome del paziente neurologicamente compromesso.
Alla base del concetto di PIC c’è la Legge di Monro–Kellie: il volume di liquor, sangue e parenchima cerebrale deve rimanere costante. Le sue variazioni infatti si ripercuotono sui diversi componenti.
La scatola cranica è inestensibile ed incomprimibile, perciò il volume endocranico può essere considerato un volume fisso e costante.
Quindi la teca cranica ed i suoi componenti interni (sangue, liquido cefalo-rachidiano e tessuto cerebrale) creano un equilibrio tale che l’aumento del volume di uno di essi deve essere compensato da una diminuzione del volume di un altro.
Dato che il tessuto nervoso è scarsamente comprimibile, i principali componenti che fungono da compensatori sono il fluido cerebro-spinale e, in misura minore, il sangue, mantenendo pressoché costante la pressione intracranica per qualsiasi variazione di volume limitata.
La PIC dipende quindi dal volume del:
Il valore medio PIC oscilla tra 5 e 15 mmHg. È considerato patologico se >20 mmHg. Questo valore è oscillatorio nell’arco della giornata in relazione alla pulsatilità vasale ed al periodico aumento del flusso ematico cerebrale.
Se PIC > 20 mmHg avremo ipertensione lieve, con PIC > 30 mmHg avremo ipertensione moderata-severa e infine una PIC > 40 mmHg è correlata ad alta mortalità.
La pressione del sangue arterioso cerebrale (chiamata “pressione di perfusione cerebrale“) è correlata da un lato alla pressione arteriosa media (= somma della pressione arteriosa sistolica e della pressione arteriosa diastolica moltiplicata per 2, il tutto diviso 3) e dall’altro alla pressione endocranica:
Pressione di perfusione cerebrale (PPC)= Pressione arteriosa media (PAM) – Pressione intracranica (PIC)
Risulta chiaro quindi che, se il valore pressorio della PIC deve essere inferiore ai 20 mmHg, il valore della PAM deve essere maggiore di 80 mmHg e quello della PPC maggiore di 70 mmHg.
Se un individuo ha per esempio una PAM di 100 mmHg ed una PIC di 15 mmHg, la sua pressione di perfusione cerebrale sarà di 85mmHg. Perciò a parità di pressione arteriosa media ed aumento della pressione intracranica, corrisponde una diminuzione della pressione di perfusione cerebrale e quindi di apporto ematico al cervello. Lo studio della PIC deve essere inoltre accompagnato dal monitoraggio della pressione venosa centrale, del bilancio idrico e della temperatura.
È molto invasivo, e come tale ha un elevato rischio di infezione, è necessario effettuare nuove calibrature ai cambi di posizione del paziente. Viene posizionato nella parte direttamente interessata dal danno.
Durante la permanenza in situ del device, è necessario effettuare un continuo controllo del liquor per quanto riguarda il tasso di glucosio, di proteine, la conta cellulare ed esame colturale quando necessario.
Il monitoraggio della PIC è associato a un prolungamento della durata della ventilazione meccanica e della degenza in terapia intensiva. Nonostante ciò, sono molte le evidenze che ribadiscono la necessità di monitorare la PIC in caso di traumi cranici severi.
Senza di esso, verrebbero perse informazioni essenziali e il trattamento del paziente non sarebbe completamente corretto.
Francesca Biscosi
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