Con sentenza n. 27.799/ 2017 la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ha stabilito che il datore di lavoro dovrà retribuire anche il tempo impiegato dal proprio dipendente (nel caso specifico un infermiere) per indossare e smettere la divisa di lavoro, nonché il tempo necessario per adempiere al passaggio di compiti con colleghi e superiori all’inizio o alla fine del turno. È stato così respinto il ricorso di un’azienda sanitaria (datrice di lavoro) contro la precedente pronuncia della Corte d’Appello, che aveva riconosciuto il medesimo diritto del dipendente in questione.
Dalle motivazioni della sentenza si evince che il cosiddetto tempo-tuta rientra tra gli oneri professionali collegati a un’effettiva e a una diligente prestazione, in quanto tale meritevole di compenso economico. Nulla da fare, quindi, per il ricorrente, secondo il quale si tratterebbe invece di un’attività inquadrabile come “diligenza di preparazione al lavoro”, da considerare “ordinaria” e normale. Discorso analogo per il trasferimento
di incarichi a inizio e fine turno, che per la Cassazione va annoverato tra le azioni integrative e utili all’adempimento dell’obbligazione principale. Tra le azioni, cioè, essenziali per il congruo svolgimento del dovere di “presa in carico” del malato e della necessità di garantire un servizio continuo di assistenza.In buona sostanza, il tempo necessario a vestire e svestire la divisa è da considerare come attività autorizzata in modo implicito dal datore di lavoro. Il relativo diritto alla remunerazione, tuttavia, riguarda soltanto i minuti effettivamente utilizzati dal lavoratore per cambiarsi. Meritevole di un rimborso economico sono pure i tempi per il cambio turno e il passaggio di consegne, poiché inerenti una concreta prestazione di lavoro contraddistinta da diligenza. Non è certo la prima pronuncia in tal senso, ma questa sentenza della Cassazione ha il merito di consolidare ancor più una giurisprudenza favorevole ai lavoratori.
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