Hiv: passi da gigante nelle terapie, ma guai ad abbassare la guardia

I progressi: un’iniezione ogni due mesi anziché 15 compresse al giorno. Il rovescio della medaglia: in aumento i giovani sieropositivi e le diagnosi tardive.

Da 15 compresse al giorno a un’iniezione ogni due mesi. In questa frase è riassunto il progresso delle terapie anti-Hiv. Uno scenario inimmaginabile all’inizio degli anni Ottanta, quando per i sieropositivi la speranza di rendere innocuo il virus era un improbabile traguardo. Ora, però, vietato abbassare la guardia. In occasione della Giornata mondiale dedicata all’Aids, il 1° dicembre, il messaggio è chiaro: anche se diminuiscono le nuove diagnosi e i trattamenti sono più efficaci, aumenta la quota di giovani sieropositivi, così come la quota delle diagnosi tardive. «L’Aids – spiega Giuliano Rizzardini, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano – è causato dalla presenza del virus dell’Hiv nel sangue. Questo, infettando le cellule del sistema immunitario, rende le persone affette più vulnerabili a molte malattie che generalmente, nei sani, non creano particolari problemi. Proprio perché in grado di colpire il sistema immunitario gli individui sieropositivi, nel tempo, vanno incontro a una progressiva perdita di funzione delle cellule di difesa». Infezioni e tumori “opportunisti” trovano terreno fertile per svilupparsi e portare alla morte. È il caso delle persone con la sindrome da immunodeficienza acquisita: «Quando il virus si moltiplica, fino al punto da compromettere il sistema immunitario, si passa dall’essere sieropositivi a sviluppare l’Aids. Ecco perché la ricerca si è concentrata nell’individuazione di molecole in grado di fermare la replicazione del virus, riducendo il danno a livello del sistema immunitario». L’avvento degli antiretrovirali, sperimentati dagli anni Novanta, ha rappresentato una rivoluzione. I dati sulla sopravvivenza non lasciano spazio a interpretazioni: se trattata in tempo, l’aspettativa di vita media è paragonabile a quella di chi non è mai venuto in contatto con il virus. Se in passato si dovevano assumere tra 10 e 15 compresse giornaliere, con importanti effetti collaterali, oggi tutte le componenti sono condensate in un’unica compressa a bassa tossicità. Uno scenario, quello della singola pillola, destinato a cambiare ulteriormente. Sono in fase di sperimentazione le long-acting drugs
, molecole a lunga durata d’azione. «Si tratta – spiega Rizzardini – di formulazioni differenti di farmaci già esistenti. Questi non vengono più somministrati per bocca, ma attraverso iniezioni intramuscolari. Abbiamo condotto diverse sperimentazioni e ciò che emerge è la possibilità di controllare il virus attraverso iniezioni ogni due mesi». Un tempo, quello tra una iniezione e l’altra, che in futuro potrebbe ancora aumentare, arrivando a una somministrazione ogni quattro mesi. Un vantaggio sia in termini di qualità di vita sia pensando ai luoghi dove la distribuzione dei farmaci è difficoltosa. Non ultimo per quelle persone con problemi psichiatrici che difficilmente riescono ad aderire alle terapie. Se la ricerca ha fatto passi da gigante, tuttavia, lo stesso non si può dire sul fronte della prevenzione: secondo la Società di malattie infettive e tropicali, più del 50% delle nuove diagnosi in Italia avviene in condizioni avanzate di malattia. E anche se le nuove infezioni sono diminuite del 20% nel 2018 rispetto al 2017, l’incidenza più alta di quelle nuove si registra tra i 25 e i 29 anni, inevitabile conseguenza del calo di attenzione da parte dei giovani. «Fondamentale, in aggiunta alla corretta informazione, è la diagnosi precoce – conclude Rizzardini –. Ancora troppe persone arrivano in ambulatorio con il sistema immunitario danneggiato. Le terapie ci sono e funzionano: prima si arriva alla diagnosi e maggiori sono le possibilità di successo delle terapie. Ecco perché, se si appartiene a categorie a rischio o si sospetta di essere sieropositivi, è importante sottoporsi al test». Redazione Nurse Times Fonte: La Stampa  
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