Medici

Gran Bretagna, l’esperienza di un medico italiano: “Guadagno molto di più e lavoro meno”

Intervistato dall’agenzia Dire, il dottor Diego Olivari spiega perché non tornerebbe in Italia.

Diciassette anni nell’Esercito, dieci trascorsi tra una missione e l’altra come medico militare. Poi il congedo, il ritorno alla vita civile: cinque anni di contratti a termine in Pronto soccorso e al 118, tra Veneto e Toscana; fino all’approdo in Gran Bretagna (con una parentesi di due anni a Dubai per un progetto di medicina subacquea e iperbarica).

“Dal 2017 in Inghilterra ho fatto sette colloqui e ho avuto sette offerte di lavoro a tempo indeterminato. L’ultima nell’ospedale dove lavoro, dove mi hanno promosso e messo tra i consultants”, racconta Diego Olivari, originario della provincia di Pistoia, intervistato dall’agenzia Dire. E’ uno dei tanti dottori italiani che scelgono di andare a lavorare all’estero, in cerca di stabilità e riconoscimento, mentre gli ospedali del Paese devono fronteggiare una costante emorragia di professionisti, soprattutto nella medicina d’urgenza.

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Dal 2021 Olivari è responsabile delle maxi-emergenze al Norfolk and Norwich University Hospital.

“Credo sia il sesto ospedale più grande di Inghilterra, c’è una delle più grandi Università del Paese, non solo di Medicina – racconta -. Qui sono consultant nell’Emergency department: ho creato tutte le linee guida, le procedure operative, organizzo i corsi. Mi hanno cercato nell’aprile 2021 e mi sono spostato qui a luglio. Prima lavoravo a Kingston, una realtà molto diversa, perché a Londra ogni dieci chilometri c’è un ospedale. Questo è il maggior ospedale di tutta una contea e mezzo. Stanno spingendo molto perché diventiamo un ‘major trauma center’, perché quello di competenza è Cambridge, che è a un’ora di macchina e a 20 minuti di volo in elicottero”.

Quanti italiani lavorano nel suo ospedale?
“C’è un infermiere italiano di Roma che è un ‘lead nurse’, quando è in servizio coordina gli infermieri. C’è un chirurgo vascolare di Torino, c’è un altro giovanissimo collega di Torino che ha mollato il 118 della sua città e vola con l’elicottero dell’emergenza coprendo l’East Anglia. In totale siamo una ventina“.

Perché tanti medici italiani giovani e bravi scelgono di trasferirsi in Inghilterra?
“Perché non potevano trovare un lavoro a tempo indeterminato in Italia e perché il loro livello è molto superiore rispetto gli inglesi, non tanto nelle specializzazioni. Qui le specializzazioni in molti casi sono organizzate meglio, ma il livello di chi esce dall’Università è migliore in Italia. I medici italiani sono molti ricercati. Quando ho fatto i primi colloqui ero a Dubai: mi hanno offerto un lavoro in quattro ospedali diversi. Uno era a Londra e ho scelto quello. Quando sono andato di persona per presentare le carte ho chiesto per quanto tempo mi avrebbero messo sotto contratto, mi hanno risposto che il contratto sarebbe stato ‘fino a quando vuoi restare’. Se ho cambiato lavoro, è stato per una mia scelta”.

Tutto nell’NhS, il servizio sanitario pubblico inglese.
“Mai lavorato nel privato”.

Quando si è laureato?
“Mi sono laureato a Firenze nel 1999, mentre facevo l’Accademia militare. Sono rimasto nell’Esercito fino al 2009 e ho partecipato alle missioni in Afganistan, Iraq, Kosovo occupandomi di medicina d’emergenza. A fine carriera ero nei Carabinieri a Padova e ho iniziato a lavorare nei fine settimana con il 118 come medico convenzionato. Dopo il congedo ho iniziato come guardia medica e poi, tramite le agenzie, sono passato al 118, prima ad Abano Terme, poi mi sono spostato sulla costa e poi mi hanno cercato in Toscana, al 118 di Livorno, tra Piombino e Isola d’Elba, dove sono rimasto aspettando di avere il contratto a tempo indeterminato. Dal 2010 al 2015 ho lavorato con contratti trimestrali tra il 118 di Livorno e Grosseto. Non ce l’ho più fatta e mi sono trasferito in Inghilterra per la prima volta“.

Che specializzazione ha?
“Ho sempre fatto emergenza, ma non ho nessuna specializzazione italiana. Qui hanno un sistema diverso: hai un curriculum di specializzazione, dimostri quello che hai fatto, fai un paio di esami e ottieni la specializzazione. Ho un master in medicina subacquea e iperbarica, per il quale sono andato a Dubai, e in Inghilterra ho fatto Medicina dello Sport all’Università di Cardiff perché seguivo gli apneisti (compresi i subacquei che hanno lavorato nel cantiere di recupero della Costa Concordia, ndr). Ho sempre fatto emergenza nella vita. Qui ho conosciuto un collega microbiologo calabrese, ma laureato a Torino, compresa la specializzazione. Un giorno ha deciso di fare un concorso a Reggio Calabria, l’hanno preso e gli hanno offerto un contratto di un anno. È rimasto in Inghilterra. Nell’emergenza il problema è più evidente, perché è il settore dove ora c’è più bisogno, ma il problema riguarda tutte le specialità. A Londra c’è un importante studio associato, composto esclusivamente da medici italiani. Si chiama Italian Doctors, mi pare, e hanno quasi tutte le specialità. Sono molto ricercati anche dagli inglesi”.

Insomma, lo Stato italiano spende soldi per formare, bene, i propri medici e non riesce a trattenerli.
“Io qui faccio anche formazione e vedo i medici appena laureati. In Inghilterra dopo la laurea hai altri due anni integrativi. Io al secondo anno dopo la laurea ero in Kosovo da solo. La preparazione è diversa”.

Torneresti in Italia?
“Lo stipendio che prendo ora è quattro volte quello che prendevo in Italia. Ho più responsabilità, ma faccio meno ore. Quindi, adesso come adesso: no. Ho sentito colleghi che sono al 118, primari di Pronto soccorso con i quali siamo amici: mi hanno proposto contratti di tre mesi, sei mesi , forse un anno. Qui sono responsabile delle maxi-emergenze del più importante ospedale dell’East Anglia, perché dovrei tornare? Ho un amico in Italia che ha deciso di passare a lavorare per le agenzie. C’è un collega che ha la mia età ed era uno dei più bravi medici del 118 del Pronto soccorso di Cecina: ha mollato e svolge attività privata. Perché si era stufato. Non c’è sicurezza”.

Avrebbe mai pensato di diventare uno dei tanti cervelli in fuga dall’Italia?
“Sinceramente no. Dopo 17 anni nell’Esercito ero abbastanza attaccato al mio Paese”.

Redazione Nurse Times

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