Gli infermieri clinici e i dirigenti la pensano allo stesso modo? I risultati di uno studio qualitativo

Spesso si leggono parole di malcontento da parte degli infermieri rivolte verso la dirigenza infermieristica

Spesso si leggono parole di malcontento da parte degli infermieri rivolte verso la dirigenza infermieristica

Si lamenta distanza dalle unità operative, dalla concretezza lavorativa, e poca inclinazione all’ascolto.

Ma c’è veramente una diversità di pensiero e dunque di approccio ai problemi da parte degli infermieri clinici e dei loro dirigenti?

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Una diversità nell’intendere la professione?

Uno studio qualitativo del 2015 [1] ha voluto indagare tale differenza andando al cuore del problema, cioè ponendo ai partecipanti domande sul loro senso di responsabilità collegato allo svolgimento della professione.

Quella che è emersa è una differenza notevole e, sebbene essa riguardi una realtà diversa dalla nostra (quella israeliana, appunto), sarebbe interessante stimolare un’analoga riflessione a livello italiano.

Innanzitutto, la prima differenza sorta era questa: mentre gli infermieri clinici asserivano di sentirsi responsabili nei confronti dei pazienti, dovendo garantire agli stessi sicurezza e qualità delle cure, i dirigenti parlavano di una responsabilità nei confronti dell’organizzazione in cui erano inseriti.

In secondo luogo, mentre gli infermieri clinici riflettevano su come le loro azioni avessero implicazioni per il benessere dei loro assistiti, i dirigenti estendevano il campo: secondo la loro visione, gli infermieri erano responsabili, in senso più ampio, di quanto succedeva attorno a loro (un concetto di sorveglianza piuttosto “allargato”…). Questa visione rifletteva un’immagine dell’infermiere clinico quale “custode” della cura.

I partecipanti si sono espressi anche circa il concetto di trasparenza, concordando sulla sua importanza ed enfatizzandone le implicazioni positive: essere trasparenti è una parte dell’essere responsabili e contribuisce a creare una relazione di fiducia con la persona.

Le differenze tra infermieri clinici e infermieri dirigenti, però, non sono mancate: i primi, nonostante riconoscessero il valore della trasparenza, denunciavano un senso di disagio derivante dal dover divulgare le proprie azioni ad altri e la paura di essere criticati da parte dei colleghi e dei superiori; i secondi, invece, ritenevano insufficienti i comportamenti improntati alla trasparenza e auspicavano un miglioramento in tal senso da parte dell’intero sistema.

Infermieri clinici e infermieri dirigenti hanno anche messo in luce differenze nella percezione di potere e autorità della figura infermieristica. Gli infermieri clinici hanno lamentato di avere poco potere decisionale e, quindi, di non poter essere chiamati a rispondere dei risultati di tutte le loro azioni, in quanto esse non dipenderebbero in misura significativa da un processo decisionale loro imputabile bensì dal sistema organizzativo in cui sono inseriti, spesso ancora in forma subordinata ad altre figure. Essi hanno anche notato i potenziali pericoli insiti in questo gap tra autorità e responsabilità, i quali includono: l’incoraggiamento di comportamenti che portano a disapplicare le procedure, il prendere scorciatoie al fine di aggirare ostacoli burocratici derivanti dalla mancanza di potere riconosciuto.

I dirigenti, invece, hanno rimarcato come un professionista sia colui che risponde delle proprie azioni e si sono dimostrati sorpresi di fronte alle reazioni di disagio degli infermieri i quali, a loro dire, avevano una percezione errata della professione come dipendente da altre e con scarso potere.

Infine, gli infermieri clinici hanno sottolineato come il clima organizzativo incida sui loro comportamenti e come una leadership in grado di ascoltare i problemi, di incoraggiare e di far provare orgoglio professionale aiuti a sentirsi responsabili delle proprie azioni e dei processi assistenziali.

Parlare delle difficoltà, comportarsi in accordo con il proprio senso di responsabilità interiore e i propri valori è stato infatti descritto dai lavoratori intervistati come rischioso; i rischi sono la sanzione sociale, l’isolamento, il mobbing.

Anche se questo studio è stato condotto in una realtà non italiana, essa non appare troppo diversa dalla nostra; i risultati spronano a una riflessione condivisa in quanto, se infermieri clinici e dirigenza viaggiano su due binari destinati a non incontrarsi mai, l’evoluzione professionale diventa un traguardo davvero arduo da raggiungere.

Infermieri clinici e infermieri dirigenti sono, innanzitutto, infermieri; come tali, dovrebbero porre al centro di ogni loro decisione il benessere delle persone assistite. Questo benessere passa attraverso il benessere organizzativo e quello lavorativo dei professionisti, attraverso la valorizzazione della loro professionalità e il distacco da dialettiche mansionarie tipiche di altre epoche ma ancora così permeanti i nostri luoghi di cura.

Infermieri clinici e infermieri dirigenti si devono incontrare, e non soltanto attraverso logiche top down che portano a subire decisioni prese dall’alto, ma in momenti di condivisione paritaria, di ascolto delle problematiche che riguardano tutti. Ricordando che se non ci fossero infermieri che lavorano all’interno delle unità operative, che compensano carenze organizzative, che saltano riposi e fanno innumerevoli straordinari, non ci sarebbe nemmeno bisogno di una leadership (ogni infermiere dirigente è chiamato ad essere anche un leader e non un “capo”).

Il leader è colui che utilizza le proprie capacità per attivare le potenzialità di altre persone affinché diano il meglio di sé nell’organizzazione per la quale lavorano [2].

Nello studio che abbiamo citato, un’infermiere ha descritto la responsabilità insita nel proprio lavoro come “a chunk of burning coal”, un pezzo di carbone ardente: qualcosa di cui tutti cercano di liberarsi per non restare bruciati, ma sapendo che può bruciare altri che si incontrano sulla strada.

La leadership allora dovrebbe essere costituita da persone in grado di gettare acqua su quel carbone ardente, incoraggiando il problem solving. Come dice A. Pennini, la leadership conduce, porta avanti innovazioni insieme alle persone coinvolte, vedendo in esse una risorsa e nel loro mondo emozionale una fonte di energia [3].

Concludendo, la domanda rivolta a tutti i colleghi è: che tipo di leadership avete incontrato? Avete riscontrato nella vostra vita professionale una forte differenza di idee tra voi e chi ricopriva posizioni manageriali?

Daniela Pasqua

Bibliografia

[1] Leonenko, Marina, and Anat Drach‐Zahavy. ““You are either out on the court, or sitting on the bench”: understanding accountability from the perspectives of nurses and nursing managers.” Journal of advanced nursing 72.11 (2016): 2718-2727.

[2] Annalisa Pennini, La leadership, in C. Calamandrei, Manuale di Management per le professioni sanitarie, McGraw Hill 2015

[3] Annalisa Pennini, La leadership, in C. Calamandrei, Manuale di Management per le professioni sanitarie, McGraw Hill 2015

Redazione Nurse Times

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