Massimo Randolfi

Ferrara, successo per l’impianto di una protesi realizzata “su misura” in 3D.

L’intervento, eseguito dall’equipe del professor Leo Massari, ha permesso di rimediare a precedenti fallimenti chirurgici.

Nel mese di ottobre 2019 una protesi in titanio costruita con lavorazione speciale sulla base di un modello costruito con stampanti 3D è stata impiantata su una paziente ferrarese di 70 anni con un grave problema di mobilizzazione asettica di una componente della protesi dell’anca (quella del bacino). La mobilizzazione asettica è la modalità più comune di fallimento della protesi dell’anca e del ginocchio. È dovuta principalmente all’usura delle superfici articolari della protesi, soprattutto della parte di polietilene (materiale plastico speciale), che viene inserita nella protesi metallica del bacino per consentire il movimento della nuova articolazione protesica. L’usura comporta la formazione di piccole particelle che vanno a localizzarsi attorno alle componenti delle protesi, andando a creare una reazione dell’osso che circonda, e fissa la protesi, portando lentamente, ma inesorabilmente, alla mobilizzazione asettica, o non infetta, della protesi stessa. Quando la protesi si mobilizza (si allenta), il paziente può avvertire dolore o instabilità. In questo processo di digestione delle particelle di usura l’organismo digerisce anche l’osso (fenomeno chiamato osteolisi). Questo può indebolire o addirittura fratturare l’osso e compromettere il successo della futura chirurgia di revisione. In questo caso, infatti, la chirurgia dovrà affrontare anche il problema derivato dalla presenza di lacune ossee o dalla mancanza di osso. “Si è trattato di una paziente – spiega Leo Massari, direttore della Clinica ortopedica dell’Università e dell’Unità operativa di Ortopedia dell’ospedale di Cona (Venezia) – con esiti di lussazione congenita dell’anca, già più volte operata per re-impianti della parte del bacino della protesi (o cotile protesico), che presentava una nuova mobilizzazione con grave perdita di osso del bacino. In questi casi un nuovo intervento di reimpianto (sostituzione del cotile protesico) deve necessariamente prevedere l’ancoraggio sull’osso residuo, ma in questo caso specifico le protesi usualmente utilizzate non ce lo consentivano e, pertanto, abbiamo richiesto la collaborazione dei bioingegneri”
. La preparazione all’intervento ha comportato lo studio mediante una speciale TAC con ricostruzioni bidimensionali e tridimensionali della zona da operare, la ricostruzione dell’anatomia alterata con la stampante 3D e la ricerca di possibili soluzioni, che hanno poi portato alla costruzione dell’impianto definitivo e all’intervento chirurgico finale. L’intervento, molto complesso, è perfettamente riuscito, anche grazie alla collaborazione del personale infermieristico e degli anestesisti, e la paziente ora ha ripreso a camminare senza particolare dolore e con un’ottimale mobilità dell’anca. Tutto questo è stato possibile grazie alla collaborazione tra ortopedici, radiologi dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara e bioingegneri che hanno costruito le prime “prove” con stampanti 3D, e poi, dopo discussione e confronto con il chirurgo, l’impianto definitivo in lega di titanio con tecnologia particolare delle polveri di titanio. Praticamente un impianto “su misura”, che ha consentito al professor Massari e alla sua equipe di risolvere un problema clinico grave in una paziente già più volte operata e con un’importante perdita di osso nel bacino. “In futuro è prevedibile che questi interventi e di impianti costruiti su misura saranno sempre più utilizzati – afferma Massari –, visto l’aumento dei pazienti portatori di protesi articolari (anca e ginocchio). Pertanto le collaborazioni interdisciplinari e interaziendali proseguiranno e si incrementeranno con sempre maggiore esperienza”. Redazione Nurse Times Fonte: In Salute News  
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