Eutanasia, intervista a Mina Welby: “Sono sicura che in Italia esista l’eutanasia clandestina”

In seguito al caso di eutanasia su un minore effettuata in Belgio qualche settimana fa (VEDI), noi di Nurse Times abbiamo intervistato Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby e predidente dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica.

Sei stata la compagna di un uomo che ha deciso di morire perché amava troppo vivere…che cos’era la vita per Piergiorgio Welby? E che cos’è per la sua Mina?

“Vita” per Piergiorgio era relazione. Con chiunque incontrasse. Era una persona intelligente e versatile. Non aveva terminato l’ultimo anno di ragioneria perché non riusciva più a salire le scale, ma leggeva moltissimo e sapeva citare a memoria testi di vari scrittori. Per questo lo ammiravo sempre.

Sapeva discutere di filosofia, sociologia, politica, ma si metteva anche a parlare con i più umili e semplici uomini della strada; sui loro problemi. La vita per lui, come per me, è godere delle cose che le occasioni offrono; gli incontri con le persone, gli animali, viaggiare (cose che alla fine non poteva fare più) e studiare.

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Era ricco dentro e la sua ricchezza, accumulata nel tempo, la sapeva condividere cogli altri. Insegnava come studiare, ma non impartiva mai lezioni da imparare a memoria.

Vita per Piergiorgio era saper godere e utilizzare tutto ciò che il mondo offre, senza deteriorarlo e lasciando ovunque tracce positive… tracce di vita. Quando la vita è accettabile, anche se limitata, e riesci ancora a dare agli altri qualcosa di te e delle tue idee, anche il tuo corpo ti aiuta a vivere… e tu aiuti lui. Ma quando non lo è più… tutto crolla.

Guardando oggi i suoi scritti, vedo quanto Piero fosse lanciato a indagare e a capire la relazione tra il nostro sonno (inteso come riposo) e il sonno eterno. Godersi i piaceri della vita, preparandosi a morire, non è davvero di tutti. Lui lo ha fatto, ha preso sul serio le parole del suo amato prof. Hans Georg Gadamer: “morire è anche un processo di apprendimento”.

Piergiorgio e Mina Welby.

L’Eutanasia, questa parola così ostica, torna ciclicamente all’ordine del giorno sui titoli dei quotidiani italiani. Piergiorgio ha voluto combattere la sua guerra alla luce del sole, per farne una battaglia di principio. Per tutti. Ma per ogni Piero che lotta e appare sui TG al grido di “lasciatemi morire” (VEDI)… quante sono invece le persone che preferiscono organizzare la propria morte in silenzio e senza clamore? L’eutanasia, in Italia, è un fenomeno clandestino?

Sono sicura che in Italia esista l’eutanasia clandestina e che ci siano molte morti disperate, che arrivano nel silenzio. Nel 2002 un’inchiesta dell’Università cattolica, svolta per mezzo di un questionario anonimo sottoposto ai 257 medici delle 20 unità di terapia intensiva di Milano, ha rilevato che il 3,6% degli intervistati ha praticato l’eutanasia con l’uso di farmaci letali, mentre il 38,6% ha sospeso il trattamento almeno un volta.

Commentando i dati del sondaggio, il Presidente del Comitato etico della Fondazione Floriani di Milano, Franco Toscani, affermò nel 2002: “E’ vero l’eutanasia attiva si pratica. E i dati sono superiori a quel 3,6% rilevato dall’Università Cattolica di Milano. Probabilmente si arriva al 7%”.

Credo che oggi, dopo 14 anni, sia praticata ancor di più. Inoltre mi domando se e quanto venga praticata su richiesta del malato e quante volte su richiesta di parenti o per una decisione dei sanitari…

Piergiorgio, da radicale e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, scrisse quell’urlo/lettera al Presidente della Repubblica Napolitano (VEDI) perché era arrivato alla totale insopportabilità della sua patologia. Il torace non gli si espandeva più, non c’erano più muscoli nel suo corpo… cera solo grasso.

Sentiva continuamente fame d’aria, lo sterno gli premeva sugli organi interni, diceva spesso che gli faceva male il cuore e soffriva di frequenti infezioni respiratorie batteriche. Mi chiedeva ripetutamente di dargli una confezione intera di Tavor e di staccarlo dal respiratore… ma io non ci riuscivo. E lui mi rimproverava di non amarlo abbastanza. Ha sofferto molto, Piero… Sulle sue sofferenze potrei scrivere un libro.

“Mina, voglio morire qui in questa camera, nel mio letto, non nell’hospice”, mi disse un giorno.

Già nel 2002 aveva contattato il Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, il Prof. Francesco D’Agostino, perché voleva morire e cercava comprensione non solo per sé, ma per tutti i cittadini; perché tutti dovrebbero essere liberi di decidere per se stessi fino alla fine. Il Comitato Nazionale per la Bioetica, come soggetto consultivo, avrebbe potuto suggerire alla politica di fare una legge sulle scelte di fine vita…

Alessio Biondino (Nurse Times) e Mina Welby durante alcune manifestazioni per i diritti dei disabili gravissimi.

C’è stato un caso di eutanasia su un minore, in Belgio (VEDI)… e la cosa ha suscitato inevitabili dibattiti e polemiche su tutto il territorio nazionale. L’associazione Scienza e Vita, che collabora col CEI (Conferenza Episcopale Italiana) per i temi della bioetica, ha, ad esempio, dichiarato che: “Il diritto all’eutanasia del bambino, altro non significa che attribuire ad un adulto il potere di vita e di morte su un minorenne”… “È solo la ‘maschera’ di una vera decisione, personale, libera e consapevole, in quanto non è concepibile che un minore sia capace di affrontare scelte a contenuto legale ed esistenziale così estreme” (VEDI
). Anche il commento del cardinale Angelo Bagnasco non si è fatto attendere molto, con un tonante: “Questi segnali di morte che arrivano ci addolorano e ci preoccupano come cristiani, ma anche come persone”. Tu cosa ne pensi? Un adolescente, secondo te, è in grado di autodeterminarsi in questo senso?

A parte che quel minorenne, secondo me, era già abbastanza adulto per poter decidere sulla propria morte… E poi… penso che prima di usare delle parole, spesso a sproposito, ci sarebbe bisogno di immedesimarsi nella persona sofferente. Credo comunque che non si possa parlare di eutanasia per ragazzi con meno di 13 o forse 15 anni, a seconda della loro maturità. Devono essere persone in grado di decidere e questo va valutato.

Anche se… io ricordo, ad esempio, di essere stata molto malata, quando avevo solo dieci anni. Avevo attacchi di febbre altissima e la Penicillina ancora non esisteva. Una notte è successo che la mia mamma pensava che stessi per morire e accese una candela benedetta. Cercava di tenermi sveglia, ma mi disse con molta semplicità che me ne stavo andando in paradiso, mentre mi faceva gli impacchi freschi. Io ero pronta… Mi ricordo che ero pronta a morire. Mi immaginavo felice in paradiso. Ma superai la notte e le successive. Ed ora sono qui.

Non sarà certamente uguale per tutti, certo, ma secondo me anche i bambini molto piccoli, a volte, possono essere pronti. E hanno anche una capacità, sconosciuta agli adulti, di relazionarsi molto bene con i medici e gli infermieri che li curano.

Chi cura e aiuta dovrebbe poi avere sempre la massima sincerità con i genitori, dovrebbe usare l’empatia, aiutare chi perde un figlio piccolissimo ad elaborare il lutto, cercare di infondere loro anche del coraggio per guardare avanti e per reagire in modo positivo. Sapere come accompagnare dei giovani genitori nella morte certa del proprio bambino, affetto da grave patologia, dovrebbe essere un compito doveroso del personale sanitario. E per fare questo ci vogliono corsi di aggiornamento e di formazione per tutti i sanitari, in cui includo anche e soprattutto i medici di famiglia. Perché sono loro quelli che dovrebbero conoscere meglio i loro pazienti.

Il Prof. Umberto Veronesi, in un intervento su Repubblica, ha dichiarato: “L’idea di effettuare l’eutanasia su un minore provoca un rifiuto immediato, anzi un senso di ribellione e poi di condanna per chiunque abbia osato anticipare la morte di un bambino. Anche se a chiederlo sono genitori desiderosi di porre fine all’agonia di un figlio, inutilmente prolungata da terapie dolorose e invasive. È una reazione più che comprensibile in un Paese in cui non c’è un quadro legale per le questioni di fine vita e l’eutanasia, anche se richiesta o addirittura implorata da un malato terminale cosciente e adulto, è un crimine”.

Alla Camera, nelle commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali, è in discussione il ddl sul ‘fine vita’, testo di legge di Sinistra italiana. Come andrà a finire, Mina?

In Commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali dal 3 marzo scorso ci sono ben cinque Proposte di Legge parlamentari e una di iniziativa popolare firmata da 67.000 cittadini italiani depositata dall’Associazione Luca Coscioni, Radicali Italiani, UAAR, Exit dal titolo “Interruzione di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”.

Sono stati dedicati 35 minuti con due interventi all’eutanasia, chi volesse sentire questa unica introduzione può ascoltare la registrazione sul sito di Radio Radicale.

Undici Commissari, poi, affiancano la relatrice On. Lenzi nella stesura di un testo unificato su 10 pdL sulle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari o testamento biologico.

C’è davvero molto da lavorare. Stiamo aspettando la Proposta di Legge unificata. Potremo fare degli emendamenti e influire sul testo per renderlo accettabile anche in assenza di una regolamentazione sull’eutanasia, ma che si avvicini a cosa? Alla legge sulla fine della vita francese?

Che intanto anche voi curanti della salute, ma anche curanti nel morire, sappiate dare dei segnali favorevoli a una regolamentazione per una morte veramente buona in sincronia con una buona vita!

Grazie per quello che siete e fate!

Mina Welby

Che il tema del fine vita, molto delicato, vada prima o poi affrontato con coraggio e autorevolezza per una “regolamentazione” o quanto meno per fare maggiore chiarezza su alcune questioni che hanno generato diversi casi-limite, è fuori d’ogni dubbio.

Anche perché alcuni numeri, come quelli sul fenomeno dell’eutanasia clandestina, sono davvero inquietanti e dovrebbero far riflettere.

Come infermieri siamo ovviamente tenuti a rispettare il nostro Codice Deontologico che recita nell’art. 38 “L’infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene dall’assistito”.

Alessio Biondino

Redazione Nurse Times

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