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Emergenza sanità: la ricetta in 4 mosse di Garattini

Ospedali, infermieri, medici di base, stipendi. Questi i “settori” su cui è necessario intervenire secondo Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano.

Che la sanità italiana sia in emergenza è fatto ormai ampiamente acclarato. Un caso emblematico è quello della Regione Veneto, che per far fronte alla carenza di operatori socio-sanitari nelle Rsa ha deciso di ripescare i bocciati ai corsi per oss, consentendo loro di partecipare a una sessione di recupero per rifare l’esame, anziché ripetere l’intero ciclo formativo. Ma le problematiche, si sa, sono molto più vaste e comprendono più aspetti del Servizio sanitario nazionale.

Sul tema ha detto la sua Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano, all’interno della propria rubrica settimanale sul periodico Oggi. A suo parere servirebbero quattro mosse su altrettanti “settori” del Ssn: ospedali, infermieri, medici di base, stipendi. Una sorta di ricetta “salva-sanità” che la politica dovrebbe prendere in considerazione con “un po’ di coraggio” per “dimostrare di essere dalla parte dei malati”.

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Secondo Garattini, bisogna rivedere in primo luogo l’organizzazione ospedaliera: “Si dice che l’Italia sia ospedalocentrica: abbiamo troppi piccoli ospedali disseminati sul territorio. Quindi occorre raggruppare i servizi in ospedali di adeguate dimensioni. Nelle piccole strutture, infatti, i medici non vengono usati in modo ottimale, perché non hanno sufficienti numeri di pazienti”.

Per esempio, prosegue Garattini, “si hanno spesso cardiochirurgie o altri servizi complessi a pochi chilometri di distanza”. E allora “raggruppare i servizi e migliorare i trasporti significa diminuire il personale necessario, oppure ottenere maggiore produttività con gli stessi addetti”.

La seconda mossa indicata da Garattini riguarda la categoria degli infermieri: “Come in altri Paesi, dovrebbero poter svolgere attività oggi esercitate impropriamente dai medici”, e quindi alleggerirne il lavoro. In particolare, “fare prescrizioni di farmaci che vengono usati per malattie croniche o impiegarli per cateterismi o per iniezioni endovenose, dopo adeguata formazione, darebbe più tempo ai medici per attività più importanti”.

Il terzo intervento riguarda i medici di famiglia che “non sono stati ascoltati”. Impossibile pensare, sostiene Garattini, “che un medico vada lasciato solo con 1.500 o più cittadini, perché la medicina è diventata molto complessa”. I più intraprendenti, racconta il farmacologo, hanno realizzato forme di collaborazione che rappresentano la fase sperimentale delle case della comunità.

A tal proposito Garattini scrive: “Le case di comunità sono luoghi in cui si mettono insieme più esperti: pediatra di famiglia, infermieri, psico e fisioterapisti gestiti da una segretaria informatizzata, con gli ambulatori aperti sette giorni alla settimana per almeno otto ore al giorno”. Quasi come una azienda sanitaria locale.

Ma le proposte di Garattini si allargano: “Si deve attivare la telemedicina per parlare con i pazienti e con gli specialisti ospedalieri”. O ancora “si devono unire gli assistenti sociali per occuparsi dei pazienti a domicilio e coinvolgere il terzo settore”. Il tutto finalizzato ad alleggerire il settore della medicina di emergenza, continuamente bersagliato e non in grado, per numeri e personale, di rispondere alle richieste.

Infine il capitolo stipendi. Secondo Garattini, “è urgente aumentare le retribuzioni del personale sanitario, perché siamo ai livelli più bassi d’Europa”. Già in molti, tra medici e infermieri, hanno lasciato l’Italia e “continueranno a farlo per lidi più remunerativi”. Quindi è importante “che tutti coloro che lavorano con il Ssn siano dipendenti, come auspicato recentemente dal ministro Schillaci”.

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