"Il lavoro dei leader potrebbe essere definito come gestione di energia. Loro compito principale è creare un ambiente nel quale questa energia non vada sprecata in lotte intestine e giochi di potere...."
“Il lavoro dei leader potrebbe essere definito come gestione di energia. Loro compito principale è creare un ambiente nel quale questa energia non vada sprecata in lotte intestine e giochi di potere….”
(Kets de Vries Leader, giullari, impostori, 1998).
È forte il dibattito contemporaneo all’interno della professione infermieristica sui risultati ottenuti a distanza di diciassette anni dall’istituzione della dirigenza infermieristica.
Le attese erano molte poiché si percepivano la possibilità di una maggiore valorizzazione dell’infermiere e il riconoscimento di autonomia e competenza con la rinnovata speranza di migliorare la qualità dell’assistenza e con essa gli esiti di salute degli assistiti.
Altresì la possibilità di dare avvio a cambiamenti importanti in termini di ricerca, di attuazione di nuovi modelli assistenziali più rispondenti alle caratteristiche di un’infermieristica italiana in linea con molte realtà europee e che pensava ad un infermiere coinvolto in processi di sviluppo professionale.
Ritengo doveroso, se pur ripetitivo ai più, ricordare i requisiti previsti dalla Legge n. 43 del 2006 (art. 6): […] il dirigente infermieristico è un professionista in possesso della laurea specialistica/magistrale di cui al D.M. 2 aprile 2001 che abbia esercitato l’attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni.
“Contribuisce alla definizione della mission, vision e dei valori guida dell’azienda e persegue il loro raggiungimento attraverso il razionale uso delle risorse umane e materiali disponibili. Fa in modo che sia erogata un’assistenza efficace, efficiente, di qualità, contribuisce alla formazione continua e all’aggiornamento del personale di competenza. È costantemente sotto controllo e viene valutato per i risultati ottenuti sia economici sia sanitari”
(Calamandrei, 2008).
Nel processo di trasformazione dell’infermieristica italiana conseguente all’emanazione del Profilo Professionale dell’infermiere (1994) e dell’abolizione del mansionario (1996) è quanto mai urgente riflettere su qual è stato e continua a essere il ruolo del dirigente infermieristico, le sue responsabilità e competenze tra la sovente affermazione di “autorità” a scapito dell’autorevolezza.
Possiamo prendere atto che non basta una laurea magistrale per esercitare un ruolo tanto delicato e complesso, magari in seguito a stage svolti all’interno di strutture che tutto fanno, tranne che offrire la possibilità di apprendere abilità e strategie di governance intesa come insieme di principi, regole e procedure che riguardano la gestione e il governo di un’istituzione o di un fenomeno collettivo.
E neppure la leadership può essere acquisita sui banchi universitari ma solo attraverso la dimostrazione di concrete abilità nel valorizzare i propri collaboratori riconoscendo loro autonomia, spazio per proporre idee, condividere obiettivi e strategie e individuare sistemi premianti. Questo farebbe efficace e vincente la nostra dirigenza!
Il dibattito e il disappunto, la delusione e il profondo senso d’insoddisfazione per molti infermieri su tutto il territorio nazionale nasce dal distacco comunicativo con i loro dirigenti.
Incarichi assegnati dopo concorsi vinti per titoli ed esami, ma se andiamo a verificare i curricula professionali di molti colleghi dirigenti ci sorge facile la domanda: con quali referenze hanno ottenuto i punteggi necessari e soprattutto quanto è stata pesata – ammesso fosse disponibile – l’esperienza e la competenza nell’ambito del management?
È bastata una rapida ricerca nei siti di aziende sanitarie per verificare gli organigrammi di molte direzioni delle professioni sanitarie; organigrammi quanto mai ambiziosi, corredati di mission, valori e obiettivi dichiarati ma che, tuttavia, nella realtà arrancano solo a essere intravisti.
Lo staff: una sorta di “entourage” risultato di scelte “strategiche” e funzionali al dirigente piuttosto che per l’individuazione di specifiche competenze tecniche, organizzative e relazionali.
Eppure all’interno di molte aziende sanitarie sono disponibili colleghi con lauree e master, motivati, disponibili e desiderosi di essere riconosciuti e coinvolti.
Qualcosa non torna: da un lato l’appello per dare avvio a un cambiamento tangibile e affermare competenze avanzate; dall’altra, il totale mancato riconoscimento e valorizzazione di competenze disponibili e spendibili, magari a “costo zero”, con il rischio – non remoto – di perderle o depauperarle.
Un buon dirigente ha tutto da guadagnare nel celebrare la crescita delle persone con un grande potenziale, e soprattutto, non ha nulla da temere se ha saputo costruire una leadership forte. Avere la collaborazione attiva di altri può solo essere vantaggioso per ottenere risultati più tangibili.
La dirigenza infermieristica è diventata, purtroppo, in alcune realtà, ostacolo allo sviluppo della professione perseguendo logiche di carriera e mantenimento in statu quo nunc. I dirigenti dovrebbero essere mantenuti in base al merito e alla progettazione e valutati sui risultati ottenuti.
C’è ancora investimento da parte delle direzioni delle professioni infermieristiche per la messa appunto di procedure e di protocolli, anche organizzativi, ma va ricordato che “la vecchia teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro consisteva nel concepire il pensiero organizzativo solo attraverso strutture e procedure: si scopre ora che lo spirito umano è il migliore strumento di integrazione che permette di affrontare la complessità” (Croizer, 1987).
Sono innegabili le complessità di chi si trova a governare tra difficoltà a reperire fondi, rispondere alle politiche di indirizzo aziendale, garantire la copertura infermieristica in un sistema di cronica carenza di personale, tuttavia molto – con poco – è possibile fare.
Chiudo questo editoriale selezionando alcuni passi estratti dalla prima parte “Le basi etiche degli infermieri dirigenti” del Codice italiano di etica e deontologia per i dirigenti infermieristici (Comitato Infermieri Dirigenti in Italia, 2015) nella speranza che quanto dichiarato sia osservato e sia guida e monito per gli stessi dirigenti infermieri che l’hanno elaborato, senza assegnazione di giudizio o imputazione.
Gli infermieri dirigenti: collocano i diritti delle persone al centro di progetti, azioni e scelte politiche; agiscono con integrità personale, onestà, fiducia e rispetto reciproco;
promuovono la responsabilità personale e professionale in loro stessi e nelle persone di cui sono responsabili;
contribuiscono a creare le condizioni organizzative per mettere in pratica i valori professionali fondamentali e per promuovere l’identità infermieristica;
individuano e applicano sistemi di valutazione con lo scopo di evidenziare le eccellenze nell’assistenza e le potenzialità dei professionisti;
si impegnano per lo sviluppo della buone pratiche professionali promuovendo la ricerca sanitaria.
Massimo Randolfi
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