Infatti, il principale oggetto della ricerca sin dal principio della pandemia da SARS-CoV-2 è stato relativo alle complicanze respiratorie acute, specialmente nei pazienti critici.
Già da subito si è notato però che il virus non colpisce solo le vie aeree, ma anche il resto dell’organismo, soprattutto il sistema cardiovascolare, aggravando l’insufficienza cardiaca in pazienti con problemi cardiologici preesistenti e l’aumento della troponina in pazienti critici.
Attraverso uno studio condotto in Germania tra giugno e agosto 2020 e pubblicato sulla rivista JAMA Cardiology, si sono evidenziate complicanze cardiologiche come miocardite fulminante, trombosi, stress cardiaco dovuto all’elevata gittata cardiaca.
Sono seguiti altri studi nei mesi successivi, che hanno confermato un consistente ricovero di giovani pazienti con miocardite.
Nello studio tedesco sono stati presi in esame cento pazienti, in seguito negativizzati dall’infezione da COVID-19, con una media di 49 anni.
La maggior parte dei pazienti, asintomatici o con lievi sintomi, è guarita a casa, per 33 pazienti gravemente malati è stato necessario il ricovero in ospedale. Di questi, 19 pazienti sono stati sottoposti a ventilazione meccanica non invasiva a pressione positiva.
L’ossigeno terapia è stata richiesta per 28 pazienti. Oltre al supporto respiratorio, i pazienti hanno ricevuto una terapia antivirale, antibiotica e steroidea.
Durante il ricovero è stato documentato un aumento significativo (maggiore di 13,9 pg / mL) dei valori di hs-TnT (saggio della troponina ad alta sensibilità) in 15 pazienti.
Le condizioni cardiovascolari preesistenti includevano ipertensione, diabete e malattia coronarica nota, ma nessuna insufficienza cardiaca o cardiomiopatia precedentemente nota. Altre condizioni significative includevano asma e BPCO.
Un totale di 78 pazienti che si sono ripresi dall’infezione da COVID-19 ha avuto un coinvolgimento cardiovascolare, indipendentemente dalle condizioni preesistenti, dalla gravità e dal decorso generale della malattia SARS-Cov-2 e dalla presenza di sintomi cardiaci.
L’anomalia più prevalente era l’infiammazione miocardica, seguita da cicatrice in sede. I risultati sui parametri classici, come i volumi e le frazioni di eiezione, erano leggermente anormali.
Anche i pazienti esaminati, con scarse condizioni cardiovascolari preesistenti e con convalescenza domiciliare, avevano un frequente coinvolgimento infiammatorio cardiaco, in modo del tutto simile ai pazienti ospedalizzati, anche se in modo meno grave.
La coagulazione anomala, meccanismo alla base della cardiopatia ischemica, dell’ictus e del tromboembolismo venoso, è stata osservata anche nella polmonite influenzale grave e nella polmonite da SARS-CoV-1. I coaguli possono essere trovati nei cateteri per dialisi renale, causare ictus o trombo-embolie gravi.
La formazione di trombi è stata associata a un aumento della mortalità e la maggior parte dei pazienti gravi soddisfacevano, infatti, i criteri di diagnosi di coagulazione intravascolare disseminata.
È quindi possibile che, in individui predisposti, il sistema cardiovascolare sia colpito prima del sistema respiratorio, probabilmente a causa di alti livelli circolanti di citochine pro-infiammatorie, ormoni dello stress, squilibri elettrolitici o cardiotossicità da farmaci.
Le aritmie gravi sono condizioni potenzialmente letali che possono verificarsi in oltre il 30% dei pazienti COVID-19 di gravità medio-alta.
Innumerevoli complicanze cardiovascolari sono state associate anche al frequente coinvolgimento renale osservato in tali pazienti, dove è ragionevole supporre che l’interessamento renale sia principalmente legato a un danno di tipo ischemico.
In conclusione il COVID-19 può essere considerata una malattia multiforme che comprende diverse implicazioni di natura cardiologica.
Comprendere questi meccanismi fisiopatologici nel COVID-19 è fondamentale per valutare tempestivamente i fattori di rischio precoci e adattare il trattamento in base alla gravità del paziente e al rapporto rischio-beneficio, così da definire terapie basate sull’evidenza a seconda della fase della malattia.
Francesca Pia Biscosi
Fonti:
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